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Come avrebbe potuto e potrebbe essere: la parabola della via cooperativa

Autore

Walter Ganapini
Walter Ganapini nasce il 21 maggio 1951 a Reggio Emilia, dove consegue la Maturità presso il Liceo Classico ‘L.Ariosto’ (Preside On. Prof. Ermanno Dossetti) , e si laurea in Chimica , Ind. Chimico-Fisico , nel 1975 presso l'Università degli Studi di Bologna , Istituto "G.Ciamician" (Relatore Prof. Vincenzo Balzani, Accademico dei Lincei):suo Direttore Spirituale dalla giovinezza è il Padre Costituente Don Giuseppe Dossetti . Dal 1975 al 1981 crea e dirige il Dip.to. "Tecnologie ambientali ed energetiche" del C.R.P.A di Reggio Emilia (Consorzio Univ. Bologna-CCIAA Reggio Emilia), dove, in rapporto con ENI-Ricerche, Centro Ricerche FIAT, ENEL-Conphoebus e Riva Calzoni progetta e sperimenta il primo digestore anaerobico italiano, essiccatori solari, impianti di compostaggio, generatori eolici oltre ad occuparsi di inquinamento in e da agrozootecnia e pianificazione eco-energetica a scala urbana e di aree interne. Dal 1976 al 1984 è Responsabile del Sottoprogetto "Energia da rifiuti e biomasse" nell'ambito del Progetto Finalizzato "Energetica" del CNR (Dir. Prof. Giancarlo Chiesa, Politecnico-MI). Dal 1976 al 1980, come Cons. Delegato all'Innovazione del Cd’A di AGAC (oggi IREN) promuove e realizza il programma RETE-Reggio Emilia Total Energy (cogenerazione e teleriscaldamento di Reggio Emilia). Nel 1979, in qualità di Assistente del Presidente della Regione Emilia-Romagna, On. Lanfranco Turci, elabora il primo ‘Piano Energetico Regionale’ italiano. Dal 1981 dal 1985 è consulente del Prof. Umberto Colombo, Presidente ENEA, in materia di analisi e pianificazione ambientale ed energetica, in collaborazione con la Direzione Centrale Studi (Dir. Dr. Sergio Ferrari, Ing. Giancarlo Pinchera). Nel 1982 è selezionato come ‘Short-term Officer’ nel ruolo di Tutor del Corso “Energy and Environment Management” presso il Training and Vocational Center dell’U.N. International Labour Organization di Torino. Dal 1985 al 1987 vince la selezione pubblica per il ruolo di Ricercatore presso i Dipartimenti ENEA-PAS "Protezione Ambiente e Salute" (Dir. Prof. Mario Mittempergher) ed ENEA –FARE “Fonti Alternative e Risparmio Energetico” (Dir. Prof. Ugo Farinelli). Dal 1982 al 1986 è membro dell’‘Energy Demonstration and Evaluation Team’ presso la DG XVII – Energia e collabora con il Settore ‘Waste Management’ della DG XI- Ambiente (Dr. Eusebio Murillo Matilla) della Commissione Europea. Dal 1988 al 1993 è Esperto presso il Comitato Economico e Sociale dell’UE, mentre dal 1989 al 1992 collabora con l’“Industry and Environment Office” dell’OECD, coordinandone la sezione “Cleaner Technologies” (Dir. Dr.ssa Jacqueline Aloisi De Larderel). Dal 1988 al 1994 presiede il ‘Comitato Tecnico Scientifico Rifiuti’ del Ministero dell’Ambiente, istituito ai sensi della L.441/87 . Nel 1994 è Italian Representative alla U.N.Commission on Sustainable Development. Dal 1987 al 1993 è Direttore della Divisione "Sistemi ecoenergetici" di Lombardia Risorse (Piani Regionali e Provinciali di Gestione Rifiuti, Bonifica Siti Contaminati, Depurazione Acque , Disinquinamento atmosferico e Sistemi Informativi ambientali regionali , Masterplan del Po, Aree a rischio) , società pubblica che nel 1993 è chiamato a presiedere dalla Presidente della Regione Lombardia , On. Florinda Ghilardotti. E’Membro del Direttivo del Consorzio ‘Milano Ricerche’. Dal 1990 al 1991 è membro del Cd’A dell'Az. Munic. Servizi Città di Reggio Emilia. Dal 1991 al 1992 è membro del Cd’A di AMSA di Milano, di cui è nominato Commissario dal Comune di Milano nel 1995-96. Dal 1992 al 1994 è membro del Cd'A del Consorzio Replastic (oggi Corepla) in rappresentanza del Ministro dell’Ambiente. Dal 1994 al 1995 è Presidente dei Cd'A di AMIU e ACOSER di Bologna, che unifica nella multiutility SEABO (oggi HERA). Dal 1997 al 1998 è Presidente del Cd'A di AMA di Roma, organizzando la prima Raccolta Differenziata nella Capitale, in vista del Giubileo 2000. Dal 2002 al 2004 è Presidente del Cd’A di NET, multiutility del Comune di Udine. Dal 1995 al 1997 è Assessore tecnico all'Ambiente del Comune di Milano, designato dalla società civile ambientalista, portando a soluzione l’emergenza rifiuti e completando la progettazione del sistema depurativo metropolitano, in stretta collaborazione con S.E. Roberto Sorge, Prefetto di Milano Dal 1998 al 2001 è nominato dal Presidente del Consiglio Presidente dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA) , completando e rendendo operativa la rete delle ARPA e realizzando la necessaria Valutazione Ambientale Strategica dei Progetti nazionali del Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006, ottenendo encomio formale della Commissaria Europea Margot Valsttrom. Nella veste di Presidente ANPA, è Autorità Nazionale di Sicurezza Nucleare. D’intesa con il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, contribuisce alla realizzazione della Sala Situazione ‘Emergenze Ambientali’ del NOE. Nel 1999, chiamato da Mons. Paolo Tarchi, è Membro del panel da cui originò il ‘Gruppo di Lavoro per la Salvaguardia del Creato’ della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Dal 2002 al 2005 collabora con la Dir. Gen. ‘Integrazione Europea’ del Ministero degli Affari Esteri (Amb. Cangelosi, Amb. Nelli Feroci) in materia di strategie comunitarie di ‘Partenariato di Prossimità’ con l’area mediterranea meridionale (strategia “A Wider Europe”). Nel 2005 fonda e fino al 2007 dirige l’Istituto di analisi e certificazione ambientale ed energetica ‘Macroscopio’. Nel 2007 è nominato Presidente di ASSOSCAI, club delle imprese dell’eccellenza ambientale. Dal 2008 al 2010 è Assessore tecnico all’Ambiente presso la Regione Campania, periodo nel quale stabilizza, collaborando con il Pref. De Gennaro, il Pref. Pansa, il Gen. Giannini, il Gen. Morelli e i Procuratori De Chiara, Lembo, Roberti, la gestione del ‘ciclo rifiuti’ rispetto alle ricorrenti tentazioni emergenziali e disegna la nuova strategia in tema di risanamento e gestione integrata delle risorse idriche, di bonifica dei siti contaminati, di contrasto al fenomeno della ‘Terra dei fuochi’. Nel 2009 subisce a Napoli un’aggressione criminale da parte di quattro persone con casco integrale, su due moto, su cui indaga la DDA diretta dal Proc. Cafiero de Raho. Dall’Ottobre 2011 all’Ottobre 2012 è indicato come Consigliere Indipendente nel Cd’A di di GreenVisionAmbiente SpA ed è Presidente di Sisifo-Gruppo VITA del cui Advisory Board fa parte. Dal Maggio 2012 al Novembre 2014 è Membro del Com.Esecutivo e del Cd’A di Dolomiti Energia, multiutility pubblica controllata dai Comuni di Trento e Rovereto. E' membro del Comitato Etico di Etica Sgr. Dal Novembre 2014 è Direttore Generale dell’ARPA dell’Umbria, che porta a performance considerate d’eccellenza dagli stakeholders sociali ed economici del territorio e dal Sistema Nazionale di Protezione Ambientale. Collabora in tale veste con il Proc. di Perugia Dr. De Ficchy, il Proc. di Terni Dr. Liguori, con il Proc. Generale Dr. Cardella e con i Prefetti pro-tempore di Perugia da S.E. la Dr.ssa De Miro a S.E. il Dr. Sgaraglia, anche alla luce della Interdittiva Antimafia irrogata in materia di gestione dei rifiuti umbri. Da fine ’80 è Invitato alle Sessioni di Aspen Institute Italia. E' stato Docente di III fascia presso la Facoltà di Chimica Industriale dell'Univ. di Venezia, la Facoltà di Ingegneria dell'Univ. di Udine, la Facoltà di Scienze dell'Univ. di Milano, il Politecnico di Milano (Sedi di Milano e Mantova) e, nel 1991, Lecturer presso la Pontificia Universidad Catholica di Curitiba (Paranà, Brasil), città nominata dalle Nazioni Unite “Capitale ecologica dei PVS” al cui ‘Ecopiano’ ha collaborato con il Sindaco Jaime Lerner e con Jonas Rabinovitch. Dal 1994 al 2002 è selezionato come Membro Effettivo del Comitato Scientifico dell'Agenzia Europea dell'Ambiente; al termine dei due quadriennii statutariamente consentiti come massima permanenza nel ruolo effettivo è poi nominato, unico Italiano, Membro Onorario del citato Organo. Dal 2006 è Membro del Senato Accademico della ‘Casa della Carità’ di Milano, istituita da S.E. il Card. Carlo M. Martini e diretta da Don Virginio Colmegna. Chiamato dal Presidente On. Franco Boiardi, è membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Cervi. Dal 2016 è chiamato dal Padre Custode Frà Mauro Gambetti a coordinare gli aspetti scientifici del Progetto di Sostenibilità Ambientale ed Energetica del Sacro Convento di Assisi noto come ‘FràSoleAssisi’, in coerenza con il dettato della Enciclica ‘Laudato sì’ e in vista dell’evento ‘L’Economia di Francesco’ indetto da Papa Francesco ad Assisi per fine Marzo 2020. Fa parte da fine ’70 del gruppo fondatore di Legambiente (1978), del cui Direttivo è stato membro per oltre due decenni, e dal 2005 al 2007 è stato Presidente di Greenpeace Italia, di cui è Socio; dal 2009 è membro del Direttivo di GreenCross Italia (Fondazione Gorbatchev). E’ stato socio fondatore, con Aldo Bonomi ed Alberto Magnaghi, di AASTER-Ass.ne Agenti per lo Sviluppo del Territorio (Tutor il Pres. CNEN Giuseppe de Rita) E’ Presidente, con il Prof. Luciano Valle e l’On. Gianni Mattioli, dell’Ist. ‘Gregory Bateson’ . E’ Presidente dell’Associazione per la Cultura d’Impresa ‘Adriano Olivetti’. Con il Prof. Leonardo Becchetti e l’Ing. G.B. Costa è tra i fondatori di NEXT-Nuova Economia per Tutti. Ha scritto “La Risorsa Rifiuti” (ETAS Libri, 1978), “Oltre l’ecologia” (ETAS Libri, 1980), “Ambiente made in Italy” (Aliberti Ed., 2004); ha curato “Bioplastiche: un caso di studio di bioeconomia in Italia” (Ed. Ambiente, 2013) ed ha pubblicato oltre 70 articoli tecnico-scientifici in letteratura internazionale ed italiana. Sue le prefazioni di ‘Custodire futuro’, di Simone Morandini (Ed. Albeggi, 2015) e di ‘Il grande banchetto, del Centro Studi Valori, Ed. Finanza Etica, 2019) Ha fatto parte dei Comitati Editoriali di “Sapere” (Dir. Prof. Giulio Maccacaro), “SE/Scienza Esperienza” (Dir. Dr. Giovanni Cesareo), “Inchiesta” (Dir. Prof. Vittorio Capecchi), “La Nuova Ecologia” (Dir. On. Dr. Paolo Gentiloni), “La Questione Agraria” (Dir. Prof. Guido Fabiani), “Acqua/Aria/Inquinamento”, “The Warmer Bulletin” (organo della Baroness Rotschild Charity, Dir. Dr. Kit Strange).

Non è difficile capire cosa evochi il vocabolo ‘Cooperazione’ in chi nasce a metà ‘900 da famiglia operaia ex-mezzadrile discesa a Reggio Emilia dall’Appennino matildico, da bambino va a far la spesa alla Cooperativa di Consumo del borgo con il ‘libretto’ (il conto viene saldato quando il padre percepisce il salario), cresce con il latte delle Latterie Cooperative Riunite, passa le estati a lavorare all’Azienda Cooperativa di Macellazione e poi alle Cantine Cooperative Riunite per pagarsi gli studi dal Liceo all’Università, con un nonno materno che, tornato dalle trincee della prima guerra mondiale, divenne sodale attivo di Camillo Prampolini e sempre rifiutò la iscrizione al PNF.  

A quel nonno, nel ’45, i partigiani consegnarono il latifondista che, minandone la salute già negli anni ’20, mandava le squadracce fasciste ad aggredirlo, anche sparando contro la casa di sasso: memore del socialismo evangelico prampoliniano, il nonno chiese che il suo persecutore venisse lasciato libero, perché ‘nulla avrebbe potuto risarcire le sofferenze patite lungo tutto un ventennio’.   Per quel tale, ‘Cooperazione’ significava unire i lavoratori per una economia sociale di mercato, di partecipazione mai subalterna al governo dell’impresa e di protagonismo per il cambiamento.        

In quel contesto di speranza di pace, nel mondo di Giovanni XXIII e del Concilio, di Kennedy, e Kruscev, arrivava al ’68 confidando nella possibilità dei giovani di cooperare per costruire un mondo migliore e più giusto, tra letture spasmodiche, incrocio di culture, folte assemblee.             

Poi il ricordo si fa angoscioso: il pensiero va agli anni di piombo, da Piazza Fontana e dalla strategia della tensione per bloccare cambiamento e riforme alle persone che improvvisamente, reclutate alla clandestinità, sparivano verso approdi terroristici di massimalismo e violenza contro cui la battaglia si dovette fare ogni giorno più forte, anche alla luce della tragica  conclusione dell’esperienza democratica cilena con il sacrificio del Presidente Allende.                                       

Cominciava a preoccupare allora, ed ancor oggi, che non sia possibile trasmettere, di generazione in generazione, la percezione degli errori già commessi e delle relative motivazioni, affinché l’ultima generazione in ordine cronologico possa certo liberamente errare, ma a partire dal confrontarsi con problemi e contraddizioni altri, più avanzati, rispetto a quelli fronteggiati dalla precedente.               

Al riguardo, venne letto troppo tardi, e ora se ne consiglia caldamente la lettura a chiunque stia impegnandosi per il cambiamento, l’Odile di Queneau: quanti errori si sarebbero risparmiati se si fossero avute a mente le vicissitudini, là narrate, dell’avanguardia parigina del primo Novecento. In quei frangenti, caratterizzati dalla primazia della politica e della pratica sindacale, la cooperazione venne ad essere considerata come mera entità economica e i suoi valori andarono via via sfumando, a partire dalla dissoluzione del ruolo effettivo dei soci prestatori d’opera per arrivare a processi di concentrazione in vista di improbabili ‘business models’ fino al  fallimento, in anni recenti, dei maggiori conglomerati che si andarono a costruire negli anni ’90, disperdendo migliaia di posti di lavoro ed in più casi lo stesso ‘prestito soci’, carattere peculiare della realtà cooperativa.   Del percorso di snaturamento della cultura originaria di cooperazione e mutualismo a fronte della aggressione liberista sfociata nella globalizzazione deregolata, nella privatizzazione dei beni comuni e nella finanziarizzazione dissennata generatrici di terribili disuguaglianze e di crisi sistemiche i cui effetti oggi paghiamo, si dà contezza in alcune note di oltre un decennio fa: https://www.vita.it/de-coop-rofundis-3/.   .                                                                                           

Al fine di non consentire il ricorso all’alibi ‘se avessimo saputo’ e alla deresponsabilizzante narrazione di un esito ‘necessitato’ del percorso, conviene evidenziare come in realtà nulla vi fosse di necessitato riproponendo brani di un dibattito pubblico vivace in essere già quaranta anni fa.                                                             

Nel numero di Gennaio-Febbraio 1986, la rivista della Lega nazionale delle Cooperative, “45”, ospitava un articolo (W. Ganapini, ‘Bologna come Bisanzio?’, in ‘Ambiente made in Italy’, 2004, Aliberti Ed., dedicato a Tullio Aymone analista del ‘modello emiliano’), il cui incipit recitava: “Anch’io, come Salvatore Veca ed altri ancora, ho sogni ricorrenti; fra questi, il più frequente mi vede, stanco e un po’ frustrato, rinunciare alla rincorsa, l’ennesima, di un treno che sta ormai lasciando la stazione di Bologna. Non sono solo: vedo attorno a me i volti noti di uomini e donne con cui intrapresi un percorso culturale e politico che ha condotto ad esiti i più differenziati”.         Vi si dà conto di come fare della realtà emiliana un laboratorio di innovazione sociale e politico-culturale fosse proposta lanciata da Ingrao concludendo, nei primi anni ’70, un congresso della Sezione Universitaria PCI di Bologna, quella di Claudio Sabatini interlocutore privilegiato di Guido Fanti, attore del processo che diede vita alla Regione prima che il suo conflitto con Zangheri per la leadership del Partito generasse una Bologna arroccata e teatro di lunghi scontri tra fazioni.         Tale proposta lasciò in molte persone segni profondi, radicata com’era nella grande ricchezza del tessuto sociale, economico e culturale costruito dal movimento operaio in decenni e ne individuava l’assunzione come base di ulteriori sviluppi ed arricchimenti antagonistici rispetto alle tendenze del modello di sviluppo guidato dal grande capitale economico e finanziario, dando centralità ad elaborazioni ed  esperienze diffuse in materia di rapporto tra lavoro e studio e di trasformazione innovativa in campo psichiatrico, psico-pedagogico, di medicina del lavoro, di igiene ambientale, di decentramento e partecipazione dai Consigli di Quartiere ai Consigli di Fabbrica.                                        

Si faceva strada la constatazione di come la logica del modello prevalente di sviluppo, finalizzata meramente ad una crescita intesa come massimizzazione del profitto di pochi e idolatria della produttività a scapito di una Umanità che martellanti campagne di comunicazione programmata con strumenti sempre più sofisticati e prodromici all’attuale combinazione di neuroscienze ed algoritmi volevano asservita ad un disegno di sfrenato consumismo materialistico, non avesse mai tenuto in conto, e men che meno assunto come vincolo etico, il dettato dell’Articolo 1 della Costituzione.       

Neppure mai si assunse, nemmeno come variabile di programmazione delle politiche, la nozione di esauribilità, prima qualitativa che quantitativa , di risorse ambientali ed energetiche non rinnovabili, in spregio al Rapporto “Limits to Growth” elaborato nel 1972  dal MIT per il Club di Roma. Proprio per questa consapevolezza, la parola d’ordine dell’austerità, per quanto controversa sul piano dell’impatto psicologico, parve a molti essenziale per la sua capacità di porre in rilievo strategico la nozione di ‘limite’ e la criticità degli effetti del modello dominante, ragionando di disuguaglianza Nord/Sud del mondo, di pace e guerra, e proponendo l’uso razionale e parsimonioso delle risorse (quella che Amory B. Lovins definiva ‘elegant frugality’) come parametro centrale dei nuovi, quelli sì ‘necessitati’, modi di vivere, produrre, consumare di persone, comunità, imprese.    Non era più patrimonio di pochi l’acquisizione secondo cui l’attuale modello di sviluppo veniva sempre più caratterizzandosi anche in Italia come generatore, ad un tempo, di fenomeni di sovrautilizzazione (concentrazione in aree limitate, in quanto le più favorite, di insediamenti abitativi, industriali, agricolo-zootecnici intensivi e delle grandi infrastrutture ad essi asservite) e sottoutilizzazione (marginalizzazione di aree montane, collinari e meridionali) di risorse ambientali. Nonostante apparissero vieppiù chiari i costi di tale modello, la resistenza al cambiamento da parte dei detentori di ricchezze e potere frenò con ogni mezzo le riforme necessarie, in Italia e nel mondo. Riemergendo dall’incubo ‘ferroviario’ ed aderendo alla nascente ‘nuova cultura dello sviluppo’, si dovette iniziare a prendere atto nei primi ’80 delle occasioni perdute da una cooperazione ormai ‘denaturata’, che  aveva esaurito ruolo propulsivo di qualificazione di tessuto produttivo e territorio.

Se ne aggravava lo status subalterno di fatto, reclutando non solo nella ‘Milano da bere’ managers di incerta caratura industriale e di certa adesione alle logiche ultraliberiste del mercato deregolato, tagliatori di teste, di costi e di diritti, così arrivando persino a favorire l’accesso al mercato emiliano di competitori, da multinazionali a realtà della cancerosa economia criminale (dopo la pesante battaglia politica e sindacale che esitò nella controversa accettazione del cottimo nelle attività edili della ‘Cooperazione di Produzione e Lavoro’), sulla base di patti leonini che alla cooperazione lasciarono solo opere civili, precludendo avanzamenti in tecnologie e know-how innovativi.                                                                                                                                             Arretratezza, subalternità, impreparazione nel fare fronte alle tematiche dell’innovazione e conseguente rincorsa affannosa di terreni e progetti proposti da altri scaturivano da procedure di reclutamento/cooptazione di gruppi dirigenti il cui bagaglio culturale, a differenza del carico ideale ed esperienziale delle prime generazioni di cooperatori, era permeato di considerazione della politica come pura e semplice mediazione di interessi secondo priorità dettate ‘colà dove si puote’. Si percepivano così come ‘settoriali’ e delegabili ad ‘addetti ai lavori‘ ulteriormente subalterni scelte su cui ci si deve misurare per assumere ruolo e capacità di governo della trasformazione, creando nuove imprese in settori innovativi, efficienti servizi reali alle esistenti, dal trasferimento di tecnologie alla assistenza sui mercati internazionali, e strumenti per incrementare qualità tecnica ed efficienza degli apparati pubblici, perseguendo già in quegli anni grandi opzioni di fondo quali il risanamento ambientale del paese, il recupero dei patrimoni artistici ed architettonici, la valorizzazione a fini produttivi di boschi, pascoli, strutture abitative e culture presenti nelle aree marginalizzate, il riuso dei tessuti urbani, il decongestionamento razionale delle aree sin qui sovrautilizzate, l’efficientamento dei servizi energetici e l’approvvigionamento da fonti rinnovabili. La sperimentazione e la diffusione di tecnologie produttive, organizzative, informatiche, di innovazione di processo e di prodotto appropriate alla piena utilizzazione della varietà di risorse territoriali e culturali del paese avrebbero potuto divenire fulcro di un progetto ad altissimo contenuto di scienza e tecnologia tale da rafforzarne la competitività a scala internazionale.             Siffatte riflessioni in corso decenni fa sulla cooperazione non significavano evocare nostalgie passatiste, ma ricerca di protagonismo nel progettare i percorsi del nuovo sviluppo necessario a persone ed imprese, ripartendo dall’Emilia ed inserendo fra le regole del gioco un rigoroso controllo della pulizia delle mani dei diversi interlocutori in fase di avviamento e di gestione del progetto.     Già allora ci si chiedeva se la cooperazione avesse adeguate cultura e volontà politica al riguardo: il dubbio sussisteva, ma in molti prevaleva la voglia di impegnarsi in nome dell’aspirazione all’utilità sociale del vivere, sperando di non ricadere in incubi quale il ferroviario inizialmente citato.              Quaranta anni dopo, purtroppo, risulta difficile coltivare credibilmente quella speranza progettuale.

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