Jenny Erpenbeck, Kairos, Sellerio, Palermo 2024

Autore

Ugo Morelli
Ugo Morelli, psicologo, studioso di scienze cognitive e scrittore, oggi insegna Scienze Cognitive applicate al paesaggio e alla vivibilità al DIARC, Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli; è Direttore Scientifico del Corso Executive di alta formazione, Modelli di Business per la Sostenibilità Ambientale, presso CUOA Business School, Altavilla Vicentina. Già professore presso le Università degli Studi di Venezia e di Bergamo, è autore di un ampio numero di pubblicazioni, tra le quali: Mente e Bellezza. Arte, creatività e innovazione, Allemandi & C, Torino 2010; Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità, Bollati Boringhieri, Torino 2011; Il conflitto generativo, Città Nuova, Roma 2013; Paesaggio lingua madre, Erickson, Trento 2014; Noi, infanti planetari, Meltemi, Milano 2017; Eppur si crea. Creatività, bellezza, vivibilità, Città Nuova, Roma 2018; Noi siamo un dialogo, Città Nuova Editrice, Roma 2020; I paesaggi della nostra vita, Silvana Editoriale, Milano 2020. Collabora stabilmente con Animazione Sociale, Persone & Conoscenza, Sviluppo & Organizzazione, doppiozero, i dorsi del Corriere della Sera del Trentino, dell’Alto Adige, del Veneto e di Bologna, e con Il Mattino di Napoli.

Ugo Morelli: Che sia necessario perdersi per trovarsi o partire per desiderare di tornare è una vecchia storia, eppure in quell’attimo fuggente della perdita pare che Katharina, la protagonista del tuo romanzo, si trovi…

Jenny Erpenbeck: Tu dici che si trova? Forse. Ma per tornare a perdersi. In quel movimento con cui si cerca forse sta il senso della sua esistenza, che di essenze ne contiene più di una, come ogni esistenza, al di là delle nostre pretese di ridurle ad una.

U.M.: Perché, secondo te, vogliamo ridurle ad una mentre non smettiamo mai di cerarne altre, di vite nell’unica nostra vita?

J.E.: Non lo so, ma è così. Siamo viandanti che cercano allo stesso tempo la via unica e sono attratti da ogni bivio, da ogni deviazione, da ogni diramazione, non smettendo però di voler percorrere la via unica, e di averne nostalgia se la smarriamo.

U.M.: Che ruolo gioca la collusione, il fare lo stesso gioco di chi ci tiene legati anche vincolandoci e a volte sottomettendoci, in questa nostra ricerca di amore e realizzazione di noi stessi?

J.E.: Sottile, tanto attraente quanto anche perverso, è ogni legame d’amore. Un gioco collusivo che è fatto e si consuma di istante in istante. Afferrare quell’istante vuol dire anche e allo stesso tempo perderlo: nell’istante in cui lo viviamo lo abbiamo perduto. 

U.M.: Sembrerebbe una battaglia, più che una esperienza di passione…

J.E.: Se è amore a battere il tempo della relazione, non può che essere un’attrazione fatale e un patimento, senza che si possa scegliere. Siamo un corpo, non un assemblaggio meccanico di parti. Siamo una totalità indissociabile, un tutto, in cui sono le relazioni ad essere primarie. Per questo incontrarsi è anche entrare in rotta di collisione, senza pretendere a priori di poter evitare di soffrirne. 

U.M.: Un’approssimazione senza fine?

J.E.: L’alternativa è la noia della routine, in cui il conflitto è evitato e non ci sono segreti perché tutto è non detto e il mondo vero si agita sotto l’apparente calma della superficie della palude.

U.M.: Il segreto?

J.E.: Sì. Chiediamoci perché un amore che va tenuto segreto ci rende addirittura più felici di uno di cui possiamo parlare. Forse perché un segreto non si spende nel presente, ma conserva la sua forza per il futuro?

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