Io è un altro

Autore

Mauro Milanaccio
Mauro Milanaccio pratica la psicoanalisi a Trento. Responsabile clinico della sede Jonas di Trento, ha fatto parte del Consiglio Nazionale di Jonas Onlus. È stato membro fondatore di ALI di psicoanalisi (Associazione Lacaniana Italiana) e membro di Apertura – Sociedad psicoanalitica de Buenos Aires (Argentina). Attualmente è rappresentante in Italia e socio della società psicoanalitica APOLa – Apertura Para Otro Lacan e socio fondatore di STAP, Società Trentina Altoatesina di psicoanalisi. Laureato in sociologia a Trento, dopo un periodo dedicato alla ricerca e all’intervento sociale si sposta in Sud America e in Africa per collaborare con organizzazioni non governative alla realizzazione di progetti comunitari di sviluppo sociale. Si trasferisce successivamente in Messico dove si forma come psicoanalista con la dott.ssa Silvia Heiser e collabora con CIEL (Centro de Investigación y Estudios Lacanianos). Rientrato in Italia, ottiene la laurea in psicologia e un diploma in psicoterapia presso IRPA (Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata), dove ora è docente. Continua e porta a termine la sua formazione analitica con il dott. Massimo Recalcati. Ha tradotto di Alfredo Eidelsztein: Il grafo del desiderio. Formalizzazioni in matematica, Mimesis 2015, Il big bang del linguaggio. L’origine del soggetto in psicoanalisi, Paginaotto 2019, Elementi di psicoanalisi, Paginaotto 2025, di Bruno Bonoris Cosa fa uno psicoanalista? Paginaotto 2023. Ha curato assieme ad Ombretta Prandini Psicoanalisi e istituzione. Logiche di una cura e pratiche istituzionali, Franco Angeli 2017, assieme a Fabrizio Gambini Perché la topologia. Lacan, la psicoanalisi e la topologia, Galaad 2019. Autore di vari articoli apparsi su riviste e libri collettanei, nonché di Topisteria. Un percorso attraverso la topologia di Lacan, Mimesis 2022, e di Divani, Paginaotto 2022. Membro della redazione della rivista Frontiere della psicoanalisi. Cofondatore del progetto editoriale Paginaotto, di cui è direttore della collana Annodamenti.

Se assumiamo l’idea che l’inconscio è strutturato come un linguaggio (Jacques Lacan), l’inconscio tra le altre cose, risulta fatto di pensieri che si pensano da soli. Quello inconscio non è dunque un pensiero prodotto dalla coscienza, o da quell’istanza che identifichiamo come ‘io’. Non è necessario aver fatto una psicoanalisi per attraversare l’esperienza di pensieri non pensati, pensieri che arrivano e si impongono, a volte ci sorprendono, altre volte la sorpresa prende i tratti del perturbante (Unheimlich) quando non addirittura dell’angoscia.

L’inconscio si presenta dunque come un’estraneità intima capace di far vacillare l’integrità della nostra identità ogni volta che una delle sue formazioni (sogno, lapsus, atto mancato, sintomo) irrompe e buca la rappresentazione che abbiamo di noi stessi. D’altra parte già Rimbaud, in una lettera al suo maestro Izambard, aveva anticipato quest’idea del pensiero come di un’alterità interna a ciascuno di noi: “È falso dire: io penso. Si dovrebbe dire: io sono pensato.”

Ci può capitare di fare un lapsus e il primo moto spesso è quello di giustificarci scusandoci con il nostro interlocutore specificando che non intendevamo dire ciò che è stato detto, non era nelle nostre intenzioni. I pensieri non pensati sembrano, a un primo ascolto, privi di logica, Freud stesso lo sottolinea: nell’inconscio non vale la contraddizione, non c’è negazione, e il tempo non ha una struttura lineare. Ma questo è vero solo in quanto resistiamo a questi oggetti psichici applicandogli un’idea di coerenza non pertinente ad essi. Se superiamo tale resistenza e ci avventuriamo ad interrogare queste ‘stranezze’, potremmo scoprire che la loro presenza non è così bizzarra e anzi, presenta una certa articolazione con temi e questioni con cui, nostro malgrado, abbiamo a che fare.

Vi è dunque una logica in questo apparire out of joint anche se si tratta di una logica con caratteristiche diverse da quelle a cui siamo abituati, che facciamo fatica a decifrare perché abbiamo un’idea di pensiero che si basa sul principio della filosofia scolastica, quello per intenderci che impone “adequatio intellectus et rei” — il pensiero è vero se è adeguato alla cosa. Se quello che pensiamo corrisponde alla realtà, allora è vero. Se non corrisponde, è falso. Questo però è un modello fondato su uno schema adattivo. È un modo di pensare il pensiero come qualcosa che deve adattarsi alla realtà. L’inconscio non funziona così, l’inconscio non cerca di adattarsi.

Se non troviamo il collegamento logico tra gli elementi costitutivi del sogno è perché abbiamo un’idea preconcetta di cosa debba essere un collegamento ‘logico’ e non contempliamo che le connessioni possono rispondere, ad esempio ai principi freudiani della condensazione e della sostituzione senza vincoli spazio temporali.

I pensieri non intenzionalmente pensati non corrispondono alla realtà, eppure manifestano verità per il soggetto dell’inconscio, una verità da intendere come aletheia, uno svelamento di ciò che pur non venendo da ‘io’, dice di qualcosa che insiste e chiama.

Risulta interessante pensare con Lacan l’inconscio non tanto come una parte della mente, o un contenitore ricettacolo del rimosso, piuttosto come un effetto del linguaggio e pertanto mai definito una volta per tutte nel passato, ma sempre in atto nel presente, un manifestarsi non in opposizione con la coscienza bensì intrecciato ad essa secondo una struttura moebiana.

Un nastro di Moebius – una superficie particolare, di cui possiamo farci un’idea incollando una striscia di carta dopo aver prodotto su di essa una torsione di 180° – rivela delle proprietà sorprendenti. A uno sguardo che si limiti ad una porzione della superficie sembra possedere due bordi e due facce: i due bordi delimitano la larghezza e le due facce sembrano stare una sul rovescio dell’altra. Si tratta di una rappresentazione ingannevole in quanto il nastro ha una struttura in cui i due bordi e le due facce sono stati messi in continuità dalla torsione e dunque sono solo uno! Questa superficie offre la possibilità di ripensare il rapporto (confine) tra esterno e interno e ne mostra la loro coalescenza. Ecco dunque che pensarsi un ‘io’ è fuorviante e non sarebbe solo un’amputazione di una parte costitutiva di ciò che siamo, l’inconscio. Ancor più radicalmente sarebbe cadere nella trappola fondata sul misconoscimento di un presupposto Altro di qualsiasi principio identitario, misconoscimento che espelle il ‘non io’ riducendolo al radicalmente estraneo. Operazione doppiamente fallimentare: l’estraneo ritorna, nelle vesti del perturbante del sintomo, l’estraneo i cui echi familiari insistono senza lasciarci scampo. La possibilità di mantenere operativa la torsione moebiana tra io e altro, tra dentro e fuori, offre all’alterità che ci abita un luogo permanentemente extimo dove si può dare un’apertura al nuovo.

immagine: C.M.Escher, Striscia di Moebius II, xilografia, 1963

Articolo precedenteO dell’Ambiguità
Articolo successivoL’ambiguità del volontariato

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Ultimi articoli

Indicazioni e indizi per il futuro

Ormai è ben noto che nel disegno di legge formulato a questo proposito dal Governo Meloni la caccia viene definita una attività...

Se la scuola non si lega alla cultura

A prima vista il problema della scuola sembra rientrare in quello generale della gestione italiana della cosa pubblica, ma in realtà è...

Apprendere a rielaborare con la propria testa ciò che si impara

La scuola e l’università (che con il sistema di crediti ha introdotto una visione finanziaria, contabile e bancaria nel tempo di studio...

Le indicazioni nazionali 2025 del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Un progetto di regressione della civiltà e della democrazia.

IMMAGINE: La pistola di legno data in dotazione dal Governo Fascista all’esercito italiano nella spedizione neocoloniale in Africa, appartenuta ad Attilio Weber,...

La scuola come teatro, il teatro come scuola. Insegnare e imparare contemporaneamente.

As if he mastered there a double spiritOf teaching and of learning instantlyHenry IV, parte I, V, II, vv. 63-64