Dal latino: Amb-intorno e agere-spingere, condurre Dal vocabolario: L’essere ambiguo: coperto, elusivo, equivoco, incerto, criptico, enigmatico, misterioso, oscuro. Possibilità di essere variamente interpretato; irresolutezza, perplessità. Ambivalenza; Condizione implicante la possibilità di una duplice interpretazione: “l’ambiguità di una frase”.
Doppiezza, falsità, incapacità di mostrarsi franchi: “l’ambiguità del suo carattere”; “Modo ambiguo di comportarsi”: modo equivoco che lascia perplessi sulle intenzioni, di dubbia moralità.
Situazione in cui l’informazione a disposizione di un decisore sulla probabilità del verificarsi di un certo evento è vaga e imprecisa.
Ai miei esordi professionali, sono stata la regista assistente di Mario Ferrero* per allestire Shakespeare o dell’Ambiguità**. Lo spettacolo rivelò a pubblico e critica svariati talenti tuttora in apice di carriera, e mi rimane nel cuore per freschezza e interesse.
Si trattava di una selezione di scene da William Shakespeare, prassi diffusa ed efficace per un saggio di fine triennio di formazione, ma il regista, giustapponendo pagine da vari testi, attraversati con brio rutilante, a tutti gli effetti produsse una raffinata drammaturgia e una nitida lettura trasversale sul tema dell’ambiguità.
Giovinette che travestite da giovani -per sopravvivere o per convenienza – risultano più attraenti che nelle proprie stesse vesti e irresistibili per uomini o per donne; scambi di identità; equivoci tra fidanzati; seduzioni fra nemici politici; attrazioni irrefrenabili seppure proibite per legge e così via: messe vicine le une alle altre queste vicende evidenziano una tessitura di situazioni non conformi, non conformate e difficilmente conformabili – un’ ambiguità avvalorata da una selezione di sonetti dello stesso autore, tradotti magnificamente per l’occasione da Giuseppe Patroni Griffi e posti a cornice delle scene ***. La regia metteva in luce quanto in Shakespeare sia ampia la gamma dell’ambiguità, declinata in molte sfumature, facendone emergere anche la fragile, vulnerabile umanità.
Dalle note di regia: “Mi sono divertito a scegliere alcune scene di otto fra le commedie e le tragedie dove questa ambiguità fosse più teatralmente evidente e le ho unite tra loro con undici sonetti nella traduzione […] di Giuseppe Patroni Griffi. Sia nei sonetti che nei pezzi teatrali non si tratta solo di ambiguità sessuale (doveva essere tanto più evidente ai tempi di Shakespeare quando tutte le parti femminili venivano recitate da giovanetti) ma di ogni genere di ambiguità: religiosa, politica, affettiva. Una serie di personaggi che comicamente o tragicamente nascondono il loro vero io a se stessi e agli altri.”
La critica apprezzò notevolmente il progetto.
“[…]Miscuglio di ipocrisia e smarrimento dei sensi di Angelo, in Misura per Misura, piccole sguaiataggini da maschietto e malcelate dolcezze femminili di Rosalinda in As you like it […] 11 sonetti nella inedita e impeccabile traduzione di Peppino Patroni Griffi […] Le ambiguità non sono solo quelle che riguardano il sesso, ma tutti i mascheramenti, le metamorfosi e le doppiezze esteriori e interiori che in Shakespeare dominano il campo. “(Renzo Tian, Il Messaggero, 11 giugno 1995)
“ […]L’ ambiguità di fondo, infatti, non è solo ambiguità sessuale ma è anche […]ambiguità religiosa, politica e affettiva. Tutti raccontano se stessi nascondendo però il loro vero io. Tutti mentono comicamente o tragicamente a se stessi e agli altri. Tutti fingono di essere qualcun altro ed alcuni arrivano a travestirsi, a camuffarsi nel disperato tentativo di ottenere ciò che vogliono, […] È uno scambio continuo di donne e di uomini, una girandola di tradimenti e menzogne.”
(Paola Quintigliani- su Roma/ Il Vigna Clara, 17 giugno 1995)
Giorgio Prosperi, nella sua autorevole recensione sul Tempo di Roma, non mancò di evidenziare che “(…) lo stesso Shakespeare nella sua biografia, di ambiguità ne attraversa ed esprime più di qualcuna, a partire dai testi dei sonetti che riverberano amori non necessariamente conformati, dalla sua vita privata giustapposta alla sua vita di corte,” evidenziando la capacità dell’autore, poeta e cortigiano, di attraversare indenne vari momenti politici tra Riforma, congiura contro la Regina (che ebbe modo di dire che Riccardo II -il re deposto protagonista di una celebre tragedia del Bardo – era lei stessa) e Restaurazione.
Shakespeare, trasse vantaggio teatrale dal fatto che all’epoca in Inghilterra le parti femminili venivano esclusivamente recitate da attori giovinetti. Travestire i personaggi femminili da ragazzo- ovvero spogliarli del travestimento da fanciulla -donava credibilità all’ interpretazione scenica, e il pubblico che sempre apprezza scambi ed equivoci fra personaggi, come tipicamente avviene nei meccanismi comici, traeva maggior divertimento da tali, ulteriormente raddoppiate, doppie identità.
Meno ovvio è l’utilizzo di tali meccanismi e ambiguità in testi che di comico hanno poco.
Mario Ferrero confida nelle note di essersi ispirato per il titolo a quello di un controverso romanzo di Herman Melville: Pierre o dell’Ambiguità. La critica dell’epoca lo aveva stroncato: “la morale immorale della storia sembra essere l’impraticabilità della virtù” (New Literary World).
Il critico Luigi Berti lo rilesse come “La tragedia di un Amleto americano: Melville vi affronta l’arduo problema della distinzione tra virtù e vizio ed espone i risultati di una confusa aspirazione al bene del suo giovane protagonista.” (Narratori stranieri tradotti, Einaudi, 1942)
Veniamo dunque riportati a Shakespeare e al tema dell’ambiguità: Il Principe Amleto decide di utilizzare il Teatro per “catturare la coscienza del Re” e smascherare l’omicida del proprio Padre. Organizza una breve recita, istruisce gli attori su tecnica, misura e gusto della recitazione, e considera: “[…]scopo del teatro […] è stato sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura; di mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’epoca stessa, alla sostanza del tempo, la loro forma e impronta.” (Amleto, III, 2)
Amleto sottolinea quanto di speculare vi sia nel Teatro rispetto alla Natura: quella che chiamiamo Realtà viene imitata e ripresa nelle sue linee, e tuttavia non riproposta tout court, bensì- ci piace evidenziare -nella cornice di uno specchio: ovvero inquadrata, forse anche rovesciata, di fatto osservata secondo un punto di vista, letta, e perché no, denunciata.
Nel gioco teatrale si possono presentare alla ribalta le ambiguità, mascherandole smascherarle, così come la recita di Amleto -una recita “innocente”, eccessiva di pantomima, costumi e maschere -denuda le ipocrisie, i non detti sepolti negli interessi cortigiani e fa intendere all’usurpatore Claudio che la verità segreta del complotto è stata svelata.
Non siamo più al tempo delle Tragedie –nel sistema democratico greco dove in Teatro i ruoli scenici in conflitto partono da posizioni equipollenti per dignità politica- lasciando alla riflessione del pubblico questioni etiche e loro ricomposizione, quand’anche momentanea, in una dialettica cittadina fra pari.
Al tempo di William Shakespeare siamo in una monarchia e la corte impone rituali e protocolli, spinge a comportamenti prudenti: in gioco non c’è solo la compiacenza della sovrana, ma eventualmente la vita stessa. Si tratti di inclinazioni sessuali, innamoramenti, posizioni politiche, scelte esistenziali, ai cortigiani come ai personaggi non è consentito affermare con disinvoltura le proprie verità: occorre essere ipocriti – come di lì a breve suggerirà Torquato Accetto, nel saggio sulla Dissimulazione onesta (1641).
In questi giorni, nei quali insidiose ambiguità si profilano all’orizzonte politico, proiettando ombre inquietanti sulla questione del dissenso e della possibilità di esprimerlo, del rapporto sempre più stringente fra critica, cultura e censura, di riverberi suprematisti, della rimozione di parole improvvisamente sconvenienti e di persone demansionate o licenziate su due piedi, nella stagnazione di posizioni che parlano in un modo ma agiscono – o lasciano agire – in un altro, restando in ambito teatrale, ci pare interessante ritrovare Samuel Beckett.
Lo scrittore irlandese, innovatore per aspetti strutturali, di contenuto e di linguaggio, dei generi del romanzo e del teatro, ricevette il Premio Nobel della letteratura nel 1969 ed è spesso associato al cosiddetto Teatro dell’Assurdo. Le opere di Beckett, come Aspettando Godot, Finale di partita e Giorni felici, presentano situazioni che non sono definite chiaramente e i rapporti tra i personaggi sono sfumati e paradossali; i dialoghi risultano assurdi e sconnessi; le azioni non conducono a nessun risultato concreto.
“La solitudine e la confusione dell’essere umano in un mondo che pare privo di logica, si riflette in un teatro che, al posto di narrazioni lineari e personaggi razionali, predilige una riproposizione del reale come visto attraverso una lente distorsiva, o forse semplicemente d’ingrandimento.”
(Marta Pesci- Samuel Becket, Viaggio attraverso l’assurdità del Reale, su Birdmen, 2022)
La scrittura di Beckett decostruisce il linguaggio, creando ambiguità.
“Beckett dichiarò una volta di essersi reso conto che il proprio modo di scrivere consiste «nell’impoverire, nel non fornire conoscenza, nel sottrarre anziché aggiungere».
(Terry Eagleton, da: Un anno di NLR, Baldini Castoldi Dalai, su Il Manifesto 2007)
Terry Eagleton ha interpretato la produzione di Samuel Beckett non come semplice rappresentazione della condizione umana astratta, bensì come riflesso del contesto storico dell’Europa del XX secolo, segnato dalle guerre ma anche dall’esperienza stessa dell’autore: “Considerato come uno degli artisti meno politicamente impegnati del ventesimo secolo, Beckett prese parte attiva alla Resistenza. Antiletteratura allergica a ogni vanità retorica, la sua opera oppose alla megalomania del fascismo l’indeterminatezza e la frammentarietà”
(cit. 2007)
“Per avvicinarsi alle opere di Beckett bisogna prima comprendere come l’assurdità della guerra abbia avuto ripercussioni lungo i decenni successivi soffocando una società che cercava di ricomporre i propri pezzi, vittima delle sue stesse contraddizioni e che vedeva scorrere sotto i propri occhi lo spettacolo costante di dinamiche di potere e ipocrisia. “
Beckett, la cui parola preferita, a suo dire, era «forse», si contrappone al trionfalismo nazista e al totalitarismo megalomane distruggendone l’assolutismo: con le armi dell’ambiguità e dell’indeterminatezza.
«Noi irlandesi», scriveva il vescovo Berkeley, «siamo inclini a ritenere che qualcosa e niente siano concetti simili.»
A volte Beckett è stato accusato di nichilismo, ma se nel suo universo non ci fosse il senso del valore non potremmo neppure mettere in discussione la nostra sofferenza e riterremmo normale la nostra triste condizione. Questo valore, tuttavia, non può essere espresso apertamente perché c’è il rischio che venga gonfiato, ideologizzato fino a divenire parte del problema anziché la sua soluzione.
Il valore deve manifestarsi in modo negativo, nell’incrollabile lucidità con cui lo scrittore affronta ciò che non può essere espresso. Il distacco necessario per una simile trattazione è lo stesso della commedia e della farsa: se la realtà è davvero indeterminata, allora la disperazione è impossibile. Se non esistono valori assoluti, non si ha né la certezza che Godot non verrà, né che i nazisti trionferanno.
Anni fa, nel periodo dei conflitti che spaccarono l’ex-Jugoslavia, ragazzi e ragazze di una delle città sotto assedio parteciparono a un laboratorio teatrale: per settimane nelle macerie del teatro distrutto, mentre intorno il conflitto proseguiva, tra cecchini e bombardamenti senza quartiere e sine die, lavorarono su Aspettando Godot di Samuel Beckett.
Con un gruppetto di miei studenti quindicenni potemmo assistere al prodotto scenico finale, al Teatro Vascello di Roma. Lo spettacolo presentava una frammentazione del testo, interpretato via via da dodici coppie, presenti in scena contemporaneamente e disposte lungo il perimetro di un ampio cerchio. I dialoghi erano recitati nella loro lingua e per oltre un’ora il folto pubblico di ragazzi un poco guardava e un poco si guardava perplesso. Ragionammo dopo lo spettacolo su cosa avessero visto e cosa ne avessero capito: “Spazio azzerato e tempo annullato. E una attesa infinita e vana che nullifica ogni azione e ogni risoluzione”. L’espressione “Čekajmo Godota” era nettamente rimasta nelle loro orecchie. Dopotutto Il Teatro, nell’inquadratura distorta della sua cornice, della realtà aveva rispecchiato un’immagine frammentata ma niente affatto ambigua.
*Mario Ferrero (1922/2012), regista. Fra i primi assistenti di Orazio Costa (fondatore della scuola di regia in Italia); colonna portante dell’Accademia “Silvio D’Amico” di Roma e formatore di generazioni di attori e attrici del teatro italiano lungo tutta la sua longeva esistenza.
** Shakespeare o dell’Ambiguità, Teatro Valle, 1995 – scene di Armando Mannini; costumi di Elena Mannini, musiche a cura di Paolo Terni *** […]i Sonetti di Shakespeare cantano la sofferenza di un amore che si divide fra omosessualità ed eterosessualità, mentre quesiti irrisolti ne agitano la fruizione: l’io è davvero omosessuale? la voce lirica è quella dell’Autore? chi sono i personaggi? l’Autore fu consenziente alla pubblicazione? […]” (Dario Calimani- William Shakespeare: e i sonetti d