Nel caso italiano, anche a motivo delle modalità con cui l’immigrazione ha fatto irruzione nel paesaggio sociale del nostro paese, ossia in maniera inattesa e deregolata, l’allarme criminalità ha raggiunto quasi subito livelli elevati e resta ai vertici delle preoccupazioni dell’opinione pubblica nei confronti dei fenomeni migratori. Il fatto che i reati più gravi, come gli omicidi, i rapimenti, le rapine a mano armata, siano diminuiti nel tempo, non sembra attenuare l’allarme criminalità, e il collegamento tra criminalità e immigrazione.
I dati statistici sembrano confermare a prima vista le percezioni diffuse. Nel 2022, su un totale di 820.000 denunce, il 25,6% era a carico di cittadini stranieri, mentre la loro incidenza sulla popolazione residente è di circa il 9%. Un dato quindi indubbiamente elevato, ma calante nel tempo: era del 35% nel 2007, si aggirava intorno al 30% tra il 2015 e il 2020 (i dati sono tratti dal Dossier statistico immigrazione, 2024). Una maggiore stabilizzazione, l’emersione dall’irregolarità, una faticosa ma progressiva integrazione sociale contribuiscono a ridurre il fenomeno. Se fosse ancora disponibile la disaggregazione tra residenti regolari e irregolari, molto probabilmente si confermerebbe che la popolazione straniera regolare è molto meno coinvolta nelle denunce: nel 2017 ne raccoglieva solo un terzo, mentre i due terzi erano a carico della componente irregolare. Più esposta alla devianza, quest’ultima, perché strutturalmente marginale, spesso priva di mezzi di sussistenza, più frequentemente a rischio di denunce per resistenza a pubblico ufficiale, non ottemperanza degli ordini di espulsione, uso di documenti falsi.
Nel caso degli immigrati regolari i valori dunque si stanno approssimando a quelli degli italiani, specialmente se si tiene conto della differente composizione demografica delle due popolazioni: i giovani sono mediamente più coinvolti in attività devianti degli anziani, gli uomini più delle donne; chi vive solo più di chi vive in famiglia. Per tutte queste ragioni, gli immigrati sono più esposti degli italiani a denunce e processi. I confronti vanno quindi presi con cautela.
Ancora più grave appare il quadro della popolazione carceraria: al 30 giugno 2024 risultavano detenuti nelle carceri italiane 19.200 cittadini stranieri, pari al 31,3 % del totale. Anche in questo caso, l’incidenza è elevata, ma tende a calare: era del 37,1% nel 2008. Inoltre gli stranieri erano il 44,2% tra i condannati a meno di un anno di carcere, ma solo il 19,8% era preso in carico dai servizi di esecuzione penale esterna. In altri termini: gli stranieri sono più spesso rinchiusi in carcere anche quando sono condannati per lievi reati. Non è difficile comprenderne le ragioni: gli immigrati, quando vengono incolpati di un reato, hanno molte più probabilità degli italiani di essere sottoposti a misure detentive, e molte meno di accedere a misure alternative, come gli arresti domiciliari. Sono più spesso incarcerati anche in attesa di processo: la mancanza di un domicilio fisso, specialmente per gli immigrati in condizione irregolare o comunque disagiati, è una motivazione che spiega questa disparità di trattamento. Disponendo di poche risorse, molto spesso non sono in grado di pagare un avvocato difensore e devono affidarsi a un avvocato d’ufficio, ottenendo quindi una tutela legale meno agguerrita ed efficace. Per la stessa ragione è più raro che ricorrano in appello e che riescano ad ottenere un decadimento dell’eventuale condanna per prescrizione del reato commesso.
Va anche rilevata una buona notizia: rumeni e albanesi, che figuravano nelle prime posizioni come incidenza sul numero dei detenuti stranieri nel 2014 (erano rispettivamente il 16,2% e il 14,0%), sono decisamente calati, rispettivamente all’11,3% e al 10,4%: segno che una progressiva integrazione e un’attenuazione dei pregiudizi li stanno allontanando dal rischio della caduta nella devianza.
Alcune altre caratteristiche del fenomeno risaltano a un’analisi più dettagliata. Si realizza anzitutto una concentrazione prevalente degli immigrati in alcune categorie di reati: rapine (47,1% del totale), furti (45,5%), reati a sfondo sessuale (43,3%), reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti (38,4%), lesioni (36,7%). Sono in gran parte reati di strada, ad alta visibilità, a differenza dei reati da colletti bianchi in cui sono maggiormente coinvolti gli italiani. Gli immigrati sono inoltre, in molti casi, più visibili e identificabili degli italiani, e soggetti a maggiori controlli. Si notano poi forme di specializzazione di alcune nazionalità nella realizzazione di certe forme di illecito: le reti etniche, anziché funzionare come agenzie di sostegno all’inserimento in determinate specializzazioni occupazionali (quelle per cui troviamo molti rumeni e albanesi in edilizia, i sikh nelle stalle della Val Padana, i senegalesi e marocchini nei mercati rionali), possono trasformarsi in “reti viziose”, che convogliano i connazionali in cerca dei mezzi per vivere in attività criminose ad alto rischio d’intercettazione da parte delle forze dell’ordine. Anch’esse disertate sempre più dagli italiani, almeno nei gradini più bassi della catena, e in cui si formano nuove gerarchie, che collocano gli immigrati più fragili e sprovveduti nelle posizioni più esposte.
Quest’ultimo aspetto appare di notevole importanza ai fini di un’interpretazione più raffinata della situazione. Si riscontrano infatti profonde differenze nel grado di coinvolgimento delle diverse nazionalità nelle attività illegali: per alcune si nota un tasso di denunciati (e carcerati) molto più elevato di quello dei soggiornanti; per altre avviene il contrario, ossia a una cospicua presenza sul territorio corrisponde una bassa incidenza nelle statistiche giudiziarie. Se combiniamo la frequenza quantitativa con la specializzazione in alcune fattispecie di reati, in vari casi piuttosto stabile nel corso degli anni, in altri casi variata nel tempo, possiamo confermare che le reti migratorie possono concorrere a produrre un inserimento dei connazionali in attività devianti, anziché in occupazioni lecite, quand’anche siano irregolari. Non va dimenticato però che si manifestano fenomeni di segno contrario: gruppi nazionali come quello ucraino, filippino o indiano, non figurano mai tra le prime nazionalità nelle graduatorie dei denunciati per i diversi reati. Manifestano infatti tassi di criminalità bassi, simili o anche inferiori a quello della popolazione italiana.
Molto influente appare poi la variabile relativa al genere. Nel complesso, le componenti femminili dell’immigrazione manifestano un basso grado di coinvolgimento in attività devianti, anche in gruppi nazionali in cui i valori relativi alla popolazione maschile risultano elevati, con alcune eccezioni, relative per es. a borseggi o furti in esercizi commerciali. Anche in questi casi, si può notare l’incidenza di alcune «specializzazioni» derivanti dai legami con reti a base etnica dedite ad attività illegali. Si può però affermare che complessivamente le donne immigrate sono vittime di reati, piuttosto che soggetti attivi di reati. Un problema che rientra nella questione più generale della vittimizzazione (o autovittimizzazione) degli immigrati: in quanto componenti socialmente deboli, sono sistematicamente più esposti della popolazione nativa ad abusi e sfruttamento, sia da parte di altri immigrati, sia ad opera di cittadini nazionali.
Va infine ricordato che la condizione degli immigrati in quanto tale comporta una fragilità giuridica e un’esposizione alla caduta in situazioni d’illegalità, oltre che una maggiore sorveglianza da parte delle autorità preposte. Come abbiamo già osservato, una parte dei reati ascritti agli immigrati dipende dalla loro condizione di stranieri dallo status incerto, soggetti a controlli e limitazioni della libertà di movimento. I reati di declinazione di false generalità, resistenza a pubblico ufficiale, e più specificamente di violazione delle leggi sull’immigrazione, rimandano alle modalità di ingresso nel nostro e in altri paesi, in cui la ristrettezza delle possibilità di immigrazione legale non impedisce l’arrivo di persone alla ricerca di lavoro e della possibilità di mettersi in regola non appena venga varata una sanatoria. Si tratta dei cosiddetti «reati di immigrazione», per i quali la denuncia non si riferisce a un delitto, ma al semplice fatto di trovarsi sul territorio senza essere in regola. Reati connessi all’esercizio abusivo di attività commerciali, alla vendita di prodotti con marchi contraffatti e simili, sono a loro volta legati all’incertezza dei diritti e delle opportunità di lavoro a cui gli immigrati possono avere accesso.
Un’ultima sottolineatura riguarda il rapporto tra genere e stato civile. I denunciati sono soprattutto giovani maschi soli, tra gli immigrati come tra i nativi. Il matrimonio, o il ricongiungimento familiare, e l’avvio di una normale vita familiare incidono positivamente sulla condotta di questa popolazione, favorendo comportamenti più ordinati e ligi alle leggi: non solo i reati, ma anche altri comportamenti antisociali, come ubriachezza, schiamazzi, risse, tendono a ridursi.
Il governo attuale, molto impegnato sui temi della sicurezza, ha invece raddoppiato, da un anno a due anni, il tempo richiesto per ricongiungere la famiglia a un immigrato che ottemperi alle condizioni previste, ossia il reddito e l’idoneità dell’abitazione. Questo ritardo imposto per decreto contrasta con l’integrazione e con la promozione della sicurezza.