Il teatro nella formazione: il mestiere dell’emozione

Autore

Rosario Iaccarino
Rosario Iaccarino, nato a Napoli nel 1960, dal 1982 al 1987 ha lavorato come operaio presso la SIRAM, assumendo l’incarico di delegato sindacale della Fim Cisl; nel 1987 è entrato a far parte dello staff della Fim Cisl nazionale, prima come Responsabile dell’Ufficio Stampa e dal 2003 come Responsabile della Formazione sindacale. Cura i rapporti con le Università e con l’Associazionismo culturale e sociale con i quali la Fim Cisl è partner nei diversi progetti. Giornalista pubblicista dal 1990. È direttore responsabile della rivista Appunti di cultura e politica. E’ componente del Comitato Direttivo e del Comitato Scientifico dell’Associazione NExT (Nuova Economia per Tutti).

Il teatro può rappresentare, in chiave educativa e nella formazione, una straordinaria potenza non tanto e non solo per l’incontro con i testi, pure significativo, né certamente al fine, tanto improprio quanto banalizzante, di accrescere le competenze per la comunicazione (come si rileva in maniera diffusa nell’offerta formativa manageriale e affine), quanto nel creare uno spazio scenico interiore, attraverso l’improvvisazione, l’immaginazione, l’interpretazione, l’immedesimazione nell’altro da sé 

 “Il teatro – scrive Thomas Otto Zinzi, attore, drammaturgo e regista – è un lavoro di miniera, scava nell’emozione” (www.progettominiera.it). Vivere le emozioni, imparare a riconoscerle aiuta ad uscire da sè stessi, apre la persona al mondo; e, a differenza della ragione, ha in sé una spinta inesorabile verso gli altri, come dice Eugenio Borgna. D’altra parte questa “verità” è stata definitivamente dimostrata dalle neuroscienze, in particolare con la recente scoperta dei neuroni specchio – cellule cerebrali che inducono un rispecchiamento nei gesti, nelle sensazioni e nelle intenzioni dell’altro che ci è di fronte, generando empatia, immedesimazione nello stato d’animo dell’altro, apertura alla relazione. Il teatro simula questa dinamica, creando una risonanza tra lo spettatore e l’attore: le emozioni e i gesti prodotti in scena superano la finzione artistica e assumono un connotato sociale, riducendo ogni mediazione artificiale e mass-mediatica della realtà umana. Secondo il fisiologo e neuroscienziatoVittorio Gallese, il teatro è addirittura più potente della vita reale nell’evocare emozione e empatia, perché “attraverso lo scarto prodotto dalla creazione artistica, l’uomo è costretto per un’ora o due a sospendere la presa indiretta sul mondo liberando energie fino a quel momento indisponibili: è un liberarsi dal mondo per ritrovarlo più pienamente”. Al fisiologo fa eco l’esperto di Scienze cognitive  e psicologo, Ugo Morelli: “se il teatro può essere inteso come metafora del mondo, ciò è possibile perché esiste un teatro nella mente che si caratterizza per processi di incorporazione che richiedono di essere studiati con un fortissimo cambiamento di paradigma scientifico: il modello delle neuroscienze presentato da Gallese e quella che con Varela chiamiamo neurofenomenologia sono a questo proposito decisive, perché ci aiutano a spostare l’attenzione dall’ente alla relazione” (https://www.ugomorelli.eu/pp/Gallese-Morelli-Teatro-metafora-mondo.pdf). 

Il teatro è addirittura più potente della vita reale nell’evocare emozione e empatia, perché attraverso lo scarto prodotto dalla creazione artistica, l’uomo è costretto per un’ora o due a sospendere la presa indiretta sul mondo liberando energie fino a quel momento indisponibili: è un liberarsi dal mondo per ritrovarlo più pienamente 

Si può comprendere quindi la straordinaria potenza che il teatro può rappresentare in chiave educativa e nella formazione, non tanto e non solo per l’incontro con i testi, pure significativo, né certamente al fine, tanto improprio quanto banalizzante, di accrescere le competenze per la comunicazione (come si rileva in maniera diffusa nell’offerta formativa manageriale e affine), quanto nel creare uno spazio scenico interiore, attraverso l’improvvisazione, l’immaginazione, l’interpretazione, l’immedesimazione nell’altro da sé. Con l’obiettivo di accrescere quel sapere affettivo che è la cura emozionale del pensiero, come avrebbe detto Franco Fornari, per dare un senso all’esistenza, per rigenerare il legame sociale, per tenere insieme nella vita professionale persona e ruolo, evitando che nelle organizzazioni il ruolo seppellisca la persona come condizione di sopravvivenza di leadership inadeguate, che cinicamente cercano di comprimere invece che di far vivere la dimensione emotiva. Il teatro ha una sua forza educativa soprattutto per chi svolge un lavoro nelle organizzazioni di rappresentanza, che nella cura delle relazioni hanno una precipua finalità, se però non viene utilizzato (e perciò tradito), per formare a competenze comunicative rispetto al cosidetto “marketing sociale”, che allude alla capacità di superare timidezza e ansia per riuscire a vendere un prodotto. Il teatro è invece capace di allargare lo spazio interiore delle persone, di colmare il vuoto emotivo, di arricchire il linguaggio, di liberare la creatività, di alimentare il desiderio di cambiamento del già dato, di autare la persona a decentrarsi da sè stessa e a muovere verso l’altro, riconsegnando, in un movimento di comprensione di sé e di riconoscimento da parte dell’altro, la scena al corpo e sottraendola alla parola, che frequentemente cela più che svelare chi siamo. Il teatro è un cardine dell’educazione sentimentale.  

Il teatro ha una sua forza educativa soprattutto per chi svolge un lavoro nelle organizzazioni di rappresentanza, che nella cura delle relazioni hanno una precipua finalitàIl teatro è, perciò, un cardine dell’educazione sentimentale 

Rappresentare è farsi vulnerabile all’altro, e ciò richiede autenticità; ma è anche entrare nell’altro, è scrivere la propria storia e quella con gli altri con l’inchiostro interiore, dice Thomas Otto Zinzi, facendo eco al grande Antonin Artaud che definiva l’attore “un atleta del cuore”. E per rappresentare è irrinunciabile tenere insieme la realtà e il sogno, dando,  come diceva Eduardo De Filippo, un occhio alla scena e una al copione: la rappresentanza non è possibile senza una visione, senza una rappresentazione del mondo. Il teatro è in questo senso “il mestiere dell’emozione”, che vuol dire innanzitutto lavorare su se stessi, recuperare la misura limitata dell’io, è scoprire i propri talenti, è misurare i gesti e attendere i tempi dell’altro, rispettare le pause e lasciare spazio al silenzio, incrociare lo sguardo degli altri, immedesimandosi in essi. Come l’attore, ognuno di noi deve lavorare su se stesso, tirando fuori il meglio di sè. Konstantin Stanislavskij, un altro grande del teatro, scriveva nel suo capolavoro Il lavoro dell’attore su se stesso: “Il mio scopo non è insegnarvi a recitare, il mio scopo è aiutarvi a creare un uomo vivo da voi stessi”.  

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