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La politica dei co-benefici per il Green New Deal

Autore

Paolo Vineis
Imperial College, Londra e Istituto Italiano di Tecnologia, Genova; Chair in Environmental Epidemiology; MRC Centre for Environment and Health; School of Public Health Imperial College London

“Prevenire” vuol dire attivare una politica fondata sul concetto di “co-benefici”: ridurre i consumi di carne, rinunciare al carbone, orientare il trasporto verso il trasporto attivo (piedi e bicicletta, mezzi pubblici), tutte azioni che contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico e prevenire le malattie croniche 

In questo testo riassumo le ragioni che inducono a pensare che una decisa svolta verso l’economia verde (il Green New Deal) sia ineludibile e comporti un forte impegno politico dall’alto (top-down) e di partecipazione dal basso (bottom-up). La mia argomentazione é prima di tutto affidata a una serie di numeri, che da soli indicano l’urgenza della sfida. Una visione più dettagliata e articolata delle stesse idee si trova in “Prevenire” (di Vineis, Carra, Cingolani; Einaudi Editore, Torino 2020). 

Gli ultimi 100 anni sono stati caratterizzati dalla quadruplicazione della popolazione umana, che ha superato i 7 miliardi, e da un’eccezionale crescita dell’economia planetaria, con un PIL globale aumentato di 20 volte. Si prevede che la popolazione umana arrivera’ a 9,7 miliardi nel 2050. I dati presentati dagli annuali “World Economic Outlook”  pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale ci dicono che oggi il prodotto globale lordo delle varie nazioni del mondo ha sorpassato gli 80.000 miliardi di dollari. Nel 1950 questo veniva calcolato in 6.700 miliardi di dollari. Da questo rapidissimo sviluppo economico consegue che oggi la nostra impronta ecologica media è pari a 2,8 ettari pro capite, mentre l’offerta (biocapacità) del Pianeta è di 1,7 ettari pro capite. Vi è quindi un deficit di 1,1 ettari, vale a dire 11 000 metri quadrati per persona eccedenti la capacità del pianeta di rigenerare i nostri consumi e gli impatti negativi che produciamo (emissioni, rifiuti, ecc.). Espresso in termini globali, si suol dire che oggi il nostro sistema economico richiede servizi ecologici pari ormai a ben oltre una Terra e mezzo. Gli aspetti di sovraccarico del Pianeta sono tanti. Si pensi al caso della plastica: la massa della plastica oggi prodotta è di circa 300 milioni di tonnellate per anno, cioè pari alla massa totale di umani e alla metà della massa di animali da allevamento.  

Tuttavia, una delle tesi di fondo di “Prevenire” é che non possiamo dimenticare anche i molti vantaggi cui lo sviluppo economico ha portato. La speranza di vita é sempre cresciuta in tutto il mondo negli ultimi decenni, con qualche rara eccezione. La speranza di vita alla nascita in Italia è aumentata da 73.6 anni per gli uomini e 80.2 per le donne nel 1990, a 80.6 e 84.9, rispettivamente, nel 2017. Tuttavia, permangono forti diseguaglianze regionali e sociali. Al miglioramento della salute hanno contribuito nell’ultimo secolo diversi elementi: scoperte come i vaccini e le nuove varietà di colture derivanti da incroci genetici; la potabilizzazione dell’acqua; il diffondersi delle reti fognarie e la migliore alimentazione, ecc. I vaccini costituiscono un esempio di guadagno netto nel bilancio tra costi, rischi e benefici: a fronte di 15 milioni di bambini che morivano per vaiolo nel 1967, e 2,5 milioni per morbillo, oggi questi numeri sono rispettivamente zero e 110.000.  

Nonostante questi successi, dobbiamo essere consapevoli dei gravi rischi che corriamo se non affrontiamo energicamente i problemi ambientali. Un tema emergente in modo preoccupante é quello della biodiversità, la cui riduzione costituisce un rischio per esempio per la disponibilità di alimenti. Solo 13 specie animali sostengono circa il 90% della produzione di cibo da allevamenti animali e solo 30 colture dominano globalmente l’agricoltura, provvedendo a circa il 90% di tutte le calorie consumate dalla popolazione mondiale: questo numero limitato di specie rende l’alimentazione umana un sistema fragile. 

La concentrazione atmosferica di CO2 nell’arco degli ultimi 10.000 anni è stata pressoché costante sino agli inizi del Novecento, per poi aumentare rapidamente oltre le attuali 415 parti per milione (contro un livello preindustriale di 280 parti per milione). Ma le emissioni sono molto disomogenee a livello mondiale: 16 tonnellate di CO2 procapite in Nord America, 11 in Russia, intorno a 7 tonnellate in Europa, circa 2 in India e inferiori a 1 in Africa. I dati riportati da World Energy Outlook 2018 danno un consumo globale di energia primaria basato sulle seguenti fonti energetiche: 32% da petrolio, 22% da gas, 27% da carbone, 5% dal nucleare, 2,5 % dall’idroelettrico e 11% da tutte le altre rinnovabili. È evidente che le fonti rinnovabili hanno ancora molta strada da fare. Per affrontare il cambiamento climatico, il Green Deal di von der Leyen e Timmermans aumenta il livello di ambizione rispetto all’accordo di Parigi, fissando al 55% (non più 40%) la riduzione delle emissioni da realizzare entro il 2030, e la neutralità delle emissioni entro il 2050. Tuttavia, i tagli di gas serra richiesti per rispettare gli obiettivi di Parigi (un aumento di temperatura inferiore a 2 gradi e possibilmente vicino a 1.5 gradi) sarebbero stati pari al 3.3% per anno (per l’obiettivo di 1.5 gradi) e 0.7% per anno (per quello di 2 gradi) se l’accordo fosse stato rispettato. Ma poiché questo non é avvenuto, ora i tagli delle emissioni devono essere di 7.6% e 2.7%, rispettivamente. 

Dobbiamo essere consapevoli dei gravi rischi che corriamo se non affrontiamo energicamente i problemi ambientali. Un tema emergente in modo preoccupante é quello della biodiversità, la cui riduzione costituisce un rischio per esempio per la disponibilità di alimenti. Solo 13 specie animali sostengono circa il 90% della produzione di cibo da allevamenti animali e solo 30 colture dominano globalmente l’agricoltura, provvedendo a circa il 90% di tutte le calorie consumate dalla popolazione mondiale: questo numero limitato di specie rende l’alimentazione umana un sistema fragile 

Le fonti di diseconomie esterne dell’attuale sistema produttivo sono molteplici. Si pensi che la sola produzione di un bene dannoso come le sigarette comporta danni ambientali considerevoli: sulla base di dati forniti dalla Philip Morris, le emissioni annuali per la produzione di tabacco da parte di questa azienda ammontano a 4.5 milioni di tonnellate di CO2. Anche la produzione di cibo contribuisce al sovraccarico planetario. L’allevamento di animali ha proporzioni gigantesche, stimate in 3,5 volatili e 0,5 mammiferi da carne rossa (come vitelli e maiali) allevati ogni anno per ogni persona. L’aumento dei consumi di carne nei paesi a basso reddito è tale che queste cifre potrebbero raddoppiare nel 2050. Si consideri che il 45% della superficie terrestre è oggi usata per l’allevamento, una proporzione destinata a crescere con un grave impatto sugli ecosistemi e sulla biodiversità. Mentre negli anni ’60 il consumo medio di carne procapite era di 28g/giorno, oggi è di 99 g/giorno e per il 2050 è stimato in 115 g/giorno. La carne ha un impatto negativo sulla salute se consumata in eccesso, e ha un forte impatto ambientale: si stima che fino al 25% dei gas serra é dovuto alla produzione del cibo nelle sue diverse componenti. 

Per tutti questi motivi, “Prevenire” propone una politica fondata sul concetto di “co-benefici”: ridurre i consumi di carne, rinunciare al carbone, orientare il trasporto verso il trasporto attivo (piedi e bicicletta, mezzi pubblici), sono tutte azioni che contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico e prevenire le malattie croniche. 

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