Lavoro in frantumi, generazioni sospese

Autore

Ho visto i miei genitori investire molte speranze di un interminabile progresso su di noi, i loro figli. Ci facevano studiare pensando: se io con poco studio ho fatto quello che ho fatto, mio figlio dottore chissà cosa combinerà. Immaginate la delusione, poi, nel vederci lavorare nei McDonald’s con laurea e master 

Appartengo alla Generazione X, quella che precede la Generazione Y conosciuta come Millennials, e arrivata dopo i Boomers, i figli del boom economico. In realtà di tutto questo non so nulla. Ma appartenendo alla Generazione X so consultare Wikipedia e dare la sensazione di conoscere molte più cose di quelle che realmente so. 

La Generazione X è composta dai nati tra il 1965 e il 1980. In buona parte quelli che, con varie gradazioni, erano bambini negli Anni Settanta. Io in quel decennio ero molto bambino. Siamo venuti al mondo in piena sbornia libertaria: il Sessantotto – avremmo poi letto e visto ripetutamente al cinema – è stato un periodo di eruzioni, come esplodessero tutti insieme decine di microvulcani carichi di lapilli, ed era la vita delle persone: liberazione sessuale, liberazione familiare, liberazione istituzionale, scolastica, universitaria, liberazione del linguaggio, del costume, perfino della poesia, della rima, del verso, del romanzo. Liberazione da che, poi? Ci si libera sempre da una gabbia. Ma come spesso succede a chi vi ha vissuto per troppo tempo, sull’uscio della cella si rimane disorientati. Avrete visto anche voi quei documentari naturalistici in cui vengono liberati all’aria aperta animali cresciuti in cattività. Ne ho visto uno su un airone: all’apertura della sua piccola tana artificiale, l’animale allungò prima il becco, poi fece due passetti con le zampe. Poi addirittura un passo indietro. Infine, l’uscita e il volo. Claudicante, incerto, poi libero. 

Noi della Generazione X abbiamo visto i nostri genitori uscire dal Sessantotto come appena liberi da quella gabbia. Una generazione confusa ma in cammino. Lo Statuto dei lavoratori del 1970, il divorzio, l’aborto: tutto si trasformava, e ogni cosa illuminava diritti e libertà finalizzati al benessere. Li abbiamo visti stare bene, i nostri genitori. Almeno io ho visto i miei, stare bene. Li ho visto guadagnare sempre di più e lavorare sempre di meno. Avere sempre più diritti, e sempre meno obblighi. Li ho visto espandersi. Comprare casa con un solo stipendio, comprare la casa al mare con la liquidazione. E li ho visti investire anche molte speranze di un interminabile progresso su di noi, i loro figli. Ci facevano studiare pensando: se io con poco studio ho fatto quello che ho fatto, mio figlio dottore chissà cosa combinerà. 
Immaginate la delusione, poi, nel vederci lavorare nei McDonald’s con laurea e master.  

Abbiamo così proseguito per forza di inerzia, cercando un compromesso nobile con il modello che ci aveva allevato, provando a scrivere una nuova grammatica 

La mia generazione si è diplomata, grossomodo, con la caduta del Muro di Berlino, anche quella una liberazione. Una grande festa. I giovani a frantumare quelle pietre graffitate. La sequenza di Stati dove cadevano dittature, fino a Mosca: Eltsin, Gorbaciov. Quella caduta del Muro, così solenne, stava trasformando il mondo, e avrebbe trasformato anche il destino di noi poveri bambini degli anni Settanta, che ci siamo laureati, più o meno, con la sequenza Tangentopoli, globalizzazione, crollo del sistema dei partiti, Berlusconi. 

Insomma, eravamo bambini in un mondo e ci siamo ritrovati grandi in un altro mondo.  

Abbiamo così mosso le prime esperienze nel lavoro mentre ci dicevano che il posto fisso (quello dei nostri padri) non c’era più. I nostri primi passi si sono svolti con il pacchetto Treu, precariato, lavoro flessibile, lavoro a termine, i lavoro a chiamata. Mentre, chi più chi meno, compivamo 30 anni, Maastricht, Patto di Stabilità e crescita, austerity, conti in ordine, è arrivato l’euro. Chi guadagnava 600mila lire al mese, ha guadagnato all’improvviso 300 euro, potendo comprare l’equivalente di 300mila lire. Il lavoro ci toglieva diritti e ci dimezzava i soldi, mentre i nostri genitori, verso i 55 anni, andavano magari in pensione. Intanto noi crescevamo, volevamo lasciare casa ma con quello che si guadagnava non ci si pagava un fitto di monolocale. Qualcuno ha cominciato a chiamarci bamboccioni. Molti di questi erano colleghi. 

La mia generazione ha trovato spesso dei colleghi da cui era scollegata: vicini di scrivania, con meno competenze, meno capacità, che lavoravano la metà e guadagnavano il doppio. Perché? Diritti acquisiti. E ti facevano la morale: gavetta, consumare le scarpe, pedalare, dovete sacrificarvi. Sissignore! A volte – mentre si lamentavano che avevano speso tutta la tredicesima per i regali e tu chiedevi: cos’è la tredicesima? – ci ammonivano dicendoci che dovevamo ribellarci, dovevamo pretendere di più, agire, far saltare il sistema! Non invidiare quello che loro avevano ma pretendere di avere lo stesso.  

Correvamo dritti verso i 40 anni quando è arrivata la crisi economica del 2008. Licenziamenti, crolli finanziari, fallimenti, aziende chiuse, e nuove risposte di precariato, frammentazione del lavoro, abbassamento dei salari, cancellazione dei diritti. Ma come, proprio adesso che doveva arrivare il nostro turno? I nostri genitori, ormai affranti per quella delusa progressione sociale che loro avevano realizzato rispetto alla generazione precedente, e che noi invece non riuscivamo a fare nonostante più istruzione, più competenza, più esperienza, ci rassicuravano: abbiamo una casa, abbiamo una pensione, non vi preoccupate. Abbiamo così proseguito per forza di inerzia, cercando un compromesso nobile con il modello che ci aveva allevato, provando a scrivere una nuova grammatica. Meno frenesia, più densità. Poi è arrivata la pandemia, con il suo nuovo carico di paure, di destabilizzazioni, di nuove tensioni, di nuovi approdi come indica Ugo Morelli, lo sforzo di una ennesima riscrittura del mondo – di un nuovo senso delle cose, mentre le cose sfuggono – e ancora una volta tocca a noi, la Generazione X. 

Qualcuno va per i 50, ormai. Ma quando al telegiornale annunziano nuove iniziative per i giovani, alziamo ancora la testa speranzosi, pensando che la cosa ci riguardi. 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Ultimi articoli

Vita fine a se stessa

In Perfect Days, la camera di Wim Wenders segue la vita di Hirayama ogni giorno, e noi che lo guardiamo di giorno...

Togliere, sottrarre, ritrarsi

Sì, Agostino aveva ragione. Siamo fatti di qualcosa che non c’è: il passato e il futuro. Ma oggi ne siamo terrorizzati e...

Non togliamoci l’abisso della perdita

«È vero senza menzogna, certo e verissimo, che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò...

Cinema, arte del togliere

Volendo estremizzare (ma nemmeno tanto) si potrebbe sostenere che il cinema sia la forma d’arte che fa proprio del “togliere” una delle...

Togliere l’identità

Come per gli dei, così per l’identità: l’interesse sta nel domandarsi come e perché li inventiamo, dal momento che non esistono.