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AZIONE DIGITALE

Autore

Michele Kettmaier
Sono nato a Trento, in Italia, nell’aprile 1966. Ho frequentato il liceo scientifico Leonardo da Vinci di Trento e poi la facoltà di Economia Politica dell’Università di Trento. Ho fondato negli anni 2000 alcune aziende che si occupano di digitale. Dal 2010 a ottobre 2014 sono stato direttore generale di Fondazione <ahref, ente di ricerca della Provincia Autonoma di Trento. Ora provo a occuparmi di umanesimo e digitale, sacro e AI, infosfera e media civici. Scrivo sul Sole 24 e su altre riviste. Coordino il centro Mediavox all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Sono consigliere delegato alla Fondazione De Marchi della Provincia Autonoma di Trento. Nel 2012, non so come, ho vinto il premio del Ministero delle sviluppo economico come speciale riconoscimento alla carriera per aver contribuito negli anni dal 2002 al 2012, ad esaltare il senso estetico, il design, la creatività, il linguaggio e l’innovazione in quanto elementi distintivi e da sempre riconoscibili della cultura e dello stile italiano e nel Web. Dal 2015 con Luca de Biase, Giulio de Petra e Vincenzo Moretti sono fondatore e presidente dell'associazione culturale no profit MediaCivici. Dal 2017 sono presidente del network Civica. Mi impegno come aspirante contadino. Poi la bici

Oggi, nel mondo ormai digitale, anche un’azione semplice e altruistica come permettere nel traffico a un’altra auto di immettersi sulla nostra strada, può diventare difficile e non cooperativistica. Domani sarete disposti a permettere, mentre guidate, di fra passare sulla vostra strada un’auto guidata dall’intelligenza artificiale e senza passeggeri? 

Una* ricerca ha scoperto che quando le persone scelgono di agire con gli altri, è più probabile che lo facciano per interessi egoistici quando interagiscono con l’intelligenza artificiale. Al contrario, è più probabile che lo facciano per interessi reciproci quando interagiscono tra umani.   

Le persone si aspettano che la IA sia gentile con loro come con un umano, ma poi sono disposte a sfruttare la sua gentilezza più di quanto sono disposte a sfruttare la gentilezza di un umano. Fino ad oggi, la maggior parte degli avvertimenti sull’intelligenza artificiale si sono concentrati sulla loro possibile malevolenza e sul rischio che possano trattarci ingiustamente. Di conseguenza, le attuali politiche mirano a garantire che l’IA agisca in modo unilaterale equo e a beneficio degli esseri umani. Ma se i legislatori rendessero pubblicamente noto che l’IA sarà, per impostazione predefinita, benevola, gli esseri umani potrebbero decidere più facilmente di sfruttare la sua cooperazione. Avere un IA incondizionatamente equa e cooperativa potrebbe quindi non rendere le nostre future interazioni con l’IA più morali e reciprocamente vantaggiose. A che punto siamo dunque nelle decisioni politiche sulla IA: se vogliamo integrare l’intelligenza artificiale nella nostra società, dobbiamo pensare di nuovo a come gli esseri umani interagiranno con essa. Concentrarsi sull‘intelligenza artificiale non è sufficiente: abbiamo anche bisogno di pensieri preventivi su come noi umani la tratteremo. Nel tempo, le macchine potrebbero essere in grado di utilizzare i dati delle proprie interazioni con gli umani: se impareranno ad aspettarsi meno cooperazione dagli umani, potrebbero anche finire per essere meno cooperative e la colpa, in questo caso, non sarebbe degli algoritmi, ma di noi stessi. 

Ma questa è solo uno dei motivi, forse non il più importante per cui vale la pena continuare a indagare il nostro rapporto con il digitale. 

Tutte le azioni hanno conseguenze: il punto è che le scelte sono diverse in relazione alla prospettiva nella quale sono pensate. Il futuro è costruito dalle narrazioni che ne diamo, perché influenzano in modo fondamentale le scelte. Una narrazione che diventa immaginazione inizia con contenuti che si agganciano all’esperienza. L’esperienza del cambiamento, tanto condivisa tra le persone che vivono nel mondo contemporaneo. Domande e risposte. Ma nel tempo del digitale c’è una comunità fatta di uomini e tecnologia che gestisce le domande e disegna le risposte; quella comunità controlla il mondo e le azioni delle persone. Il digitale è tante cose ma, se non consideriamo per un momento la sua parte tecnologica, antropologicamente e socialmente è un decisore. È una decisione presa nei nostri confronti prima che spetti a noi sapere cosa fare. Sono delle decisioni preliminari. E queste sono determinate da chi le fa e da chi le possiede. L’insieme della tecnologia digitale è il nostro mondo, ma il mondo potrebbe essere un’altra cosa, magari più spirituale che tecnologico. La rivoluzione digitale ha creato questa asincronizzazione, il dislivello prometeico, come lo chiama il filosofo Anders, tra anima e tecnologia. E l’anima rimane sempre più indietro mentre il digitale corre aiutato, una volta dalla globalizzazione, ora dalla digitalizzazione che non conosce i limiti né nel tempo né nello spazio. Non siamo sincronizzati. Siamo ormai prossimi a una versione algoritmica della teoria della spinta, straordinariamente scoperta e raccontata da Thaler e Sunstein nel loro libro “Nudge, la spinta gentile.” La teoria propone di migliorare il benessere delle persone orientando le loro azioni pur mantenendo la libertà di scelta. La politica, le decisioni e le nostre azioni non sono più solo un affare umano. Ora, ogni momento della nostra vita, sui social, a fare la spesa, dal medico ci confrontiamo con una nudge algoritmica, mai neutra, perché gli algoritmi e i dati di cui si nutrono non lo sono, e che non prevede libertà di scelta. 

Qui vorrei non riprendere la discussione, per altro molto importante, su quale etica del digitale serva all’uomo per riappropriarsi delle sue decisioni, del suo agire. Perché forse non ne abbiamo bisogno. Non ne abbiamo bisogno perché il passaggio sul discorso morale può essere superato da quello ontologico. Del resto, è la vita ontologica intesa come uomini, animali, piante, funghi e artefatti che definisce la cultura umana. E allora la relazione tra digitale e uomo potrebbe essere invertita.  

C’è una cosa importante del cristianesimo, inteso come vita di Gesù. Non propone una morale. Propone un pensiero, una proposta che la mia vita e la tua sono comunque più importanti della morale. Ed è una vita creativa, che non segue ordinatamente le Sacre scritture, è fatta di relazioni, di reciprocità e di cura di sé e degl’altri. Recuperare le dimensioni dell’esperienza spirituale dell’umanità. Quella profetica, ascetica, penitenziale, apocalittica, sacramentale, soteriologica, comunitaria, mistica, sapienziale ed escatologica non solo della tradizione cristiana ma anche delle molte altre religioni potrebbe essere una ricerca importante.  

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