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Desiderio e crisi del desiderio. Immanenza versus trascendenza

Autore

Pietro Barbetta
Docente di Psicologia clinica, Università degli Studi di Bergamo e Presidente del Centro Milanese di Terapia della Famiglia

Orphée est coupable d’impatience. Son erreur est de vouloir épuiser l’infini, de mettre un terme à l’interminable, de ne pas soutenir sans fin le mouvement même de son erreur. L’impatience est la faute de qui veut se soustraire à l’absence de temps, la patience est la ruse qui cherche à maîtriser cette absence de temps en faisant d’elle un autre temps, autrement mesuré. (Blanchot, L’espace littéraire, 228).

La Gioconda, mi dicevano da bambino, sta al Louvre perché ha “valore inestimabile”. 

Come può esistere un ossimoro come “valore inestimabile”? L’autore, in cambio dell’opera, riceve un onorario, oppure viene mantenuto a corte per le sue opere, con quella sottomissione espressa nelle dichiarazioni antecedenti al libro verso il mecenate eccellentissimo, magnifico, chiarissimo, ecc., ecc.

Mecenate fa saltare il legame utilitario tra la merce e la cosa quando decide di proteggere e mantenere artisti e letterati alla corte di Augusto. Il mecenatismo continua nel tempo, ma le sue vicende sono controverse. La reclusione di Torquato Tasso presso il manicomio di Sant’Anna a Ferrara, voluta dal suo mecenate, è solo un esempio del potere che il mecenate può avere sull’artista: benevolenza e servitù.

Quando Walter Benjamin scrive dell’opera d’arte nella modernità, prende atto che questa “inestimabilità” si sgretola davanti alla riproducibilità tecnica, l’opera d’arte perde l’aura. Esce dal dominio del sacro per entrare nell’immanenza. Se pensiamo all’aura come allo stato soave di cui gode il fanciullo del sabato del villaggio – “Altro dirti non vo’; ma la tua festa/ ch’anco tardi a venir non ti sia grave”- dobbiamo riferirci alla caducità, che ha condotto a disgrazia Tasso, come tanti altri, e alla stabilità che trascende lo stesso autore e permane sotto lo sguardo e l’ascolto nel tempo. Invero buona parte dell’estetica moderna non è altro che il rapporto tra caducità e stabilità. Lo scrive Joyce in Stephen Hero (Dublino, 1904) lo ripete in Dedalus (Trieste/Zurigo, 1916),  anche  Deleuze e Guattari seguono Joyce quando si chiedono Che cos’è la filosofia? (Barbetta, 2018).

Il desiderio è come l’opera d’arte moderna, si sottrae al duplice processo di sacralizzazione trascendente e di mercificazione utilitarista. Ancora oggi, nel contemporaneo, il desiderio non ha prezzo, il suo valore impedisce la trasformazione in prezzo. Ma il desiderio possiede valore? Oppure la sua potenza consiste in lavoro improduttivo, dell’inconscio, onirico, immaginario? 

Il desiderio, dunque, è mercificabile? Nonostante gli Stati Uniti, il paese dove “your dreams come true”, ci troviamo in un percorso labirintico. La merce, in Marx, assume un valore d’uso e di scambio, ma l’opera d’arte, nella stabilità, sembra sottrarsi a questo processo, nonostante l’uso degli artisti in pubblicità, nella Parigi di fin de siècle, nonostante Andy Wharol e l’arte online.

Quando Marx parla della metamorfosi della merce, sembra trasformare “la forma elementare della produzione capitalista”, ossia la merce, in qualcosa che la rende materia complessa. Metamorfosi indica il passaggio da una forma all’altra. Invero questa trasformazione avviene anche in biologia, il baco diventa bruco, che diventa farfalla, ecc.. Ma in biologia il meccanismo di trasformazione è autopoietico. Invece una merce ha valore d’uso, che, sul mercato, assume valore di scambio. Ciò ne giustifica l’acquisto in quanto valore d’uso. Il desiderio si trasforma in bisogno, l’inconscio diventa consapevolezza. Come nell’aforisma 175 di La gaia scienza: il folle cerca Dio con il lume e viene deriso dagli uomini del mercato, ma li penetra con  lo sguardo e chiede conto dell’assassinio di Dio.

Il sistema economico capitalista viene descritto da Marx come un sistema in cui entrano in gioco nuovi lemmi. Il denaro è l’elemento neutro di un gruppo di trasformazioni che introduce un fattore quantitativo, consistente nella determinazione del prezzo. Questi due elementi – denaro e prezzo – del tutto indipendenti dal valore d’uso, sono necessari, nel modo di produzione capitalista, per ottenere merci che soddisfino i bisogni dell’individuo. 

Il punto chiave di tutto questo ragionamento è che il capitalismo è un modo di produzione altamente funzionale al soddisfacimento dei bisogni. Tuttavia allo psicoanalista, al filosofo, a chi riflette intorno a questo processo non sfugge che la parola bisogno sostituisce desiderio.

Che ne è dunque del desiderio? Che cosa manca al bisogno per diventare desiderio? Siamo di fronte a una metamorfosi ben più misteriosa. Il tenero bruco desiderio, si è trasformato nella sfavillante farfalla bisogno, inseguita dalla Vispa Teresa, che nel catturarla, produce la sua morte.

Che cos’è allora questa metamorfosi? È il fenomeno della trascendenza: la merce di cui ho bisogno sta là fuori, in vetrina e io, se ho il denaro sufficiente, me la posso procurare. Questo oggi vale per tutto, esaurisce ogni forma dell’umano. Persino nel luoghi della cultura, sappiamo che la carriera si fa comprando pubblicazioni sui luoghi indicizzati e ricevendo il danaro per questi acquisti dai fondi universitari che danno tanto più denaro quanto più si pubblica nei luoghi indicizzati. Ciò che ha tolto ogni valore culturale alle accademie contemporanee.

Perché dunque non mi posso procurare La Gioconda? Perché La Gioconda non è indicizzata nell’elenco delle spese accademiche. La Gioconda è del tutto superflua, non serve, non sta là fuori, o non sta là fuori allo stesso modo di un panino col salame o di un articolo scopus. La Gioconda sta – come la Nona, L’Antigone o Il  Capitale – nell’immanenza. Ciò che ci deve angosciare è che, un giorno, un oligarca russo, compri dal Governo francese, in una scena apocalittica di crisi economica europea, La Gioconda per mostrarla ai suoi amici.

C’è un verso che Shakespeare attribuisce a Portia, donna travestita da giudice: “Mercy seasons justice”. La traduzione italiana è: “La grazia tempera la giustizia”. Io tradurrei la frase con “Mercé stagiona giustizia”. Tra le altre competenze burocratiche, Portia, travestita da giudice, non può far altro che riconoscere il patto nei termini di  giustizia formale, scritto e controfirmato. La giustizia bisogna che sia crudele in talune circostanze. Tuttavia Portia chiede a Shylock se intenda concedere ad Antonio mercede, la grazia. Perché? Perché la grazia “stagiona la giustizia”, scende come pioggia pura sulla testa dei re. La libbra si carne dovuta subisce una metamorfosi, da un frammento naturale, tagliato con crudeltà dal corpo, si trasforma  in un elemento del desiderio

Leggiamo direttamente un testo che Blanchot scrive a proposito di Kafka, maestro di desiderio: 

L’immagine della lenta maturità del frutto, dell’invisibile crescita di ciò che è il bambino, ci suggerisce l’idea di un lavoro senza fretta, dove i rapporti con il tempo sono profondamente cambiati, così come i rapporti con la nostra volontà che progetta e che produce… [ritroviamo in Kafka] il sentimento che la via più breve è una colpa contro l’indefinito, se ci conduce verso ciò che vogliamo ottenere, senza farci ottenere ciò che supera ogni volere. (Blanchot, 1955, pp. 160-161, trad. mia)

Queste righe si trovano sotto il paragrafo la pazienza del testo di Blanchot Lo spazio letterario. La pazienza consiste nella rivalutazione dello spazio, e, così come la grazia stagiona la giustizia, lo spazio stagiona il tempo, introduce l’attesa e permette l’emergere del desiderio.

¹ Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Tre versioni (1936-1939), traduzione di M. Baldi, a cura di F. Desideri, Collana Saggine, Roma, Donzelli, 2011

² Giacomo Leopardi, in Il Sabato del villaggio, anticipa le riflessioni di Sigmund Freud sulla “Caducità” ( Sigmund Freud, “Caducità” in Opere, Vol. 8, Torino: Bollati, 1976. Secondo Fachinelli, Su Freud, Adelphi:2012, Freud, nell’opera “Caducità” fa riferimento alla relazione tra Lou Andreas Salomé e Reiner Maria Rilke. Al di là della correttezza storica del riferimento di Fachinelli, è chiaro che in Rilke il riferimento al tema della caducità, che ho evocato attraverso Il Sabato del villaggio, è centrale nella poetica di Rilke e si rivolge precisamente al desiderio.

³ Pietro Barbetta, “Percepts, Affects and Desire”, Annual Review of Critical Psychology, 14, 2018, pp. 153-168.

⁴ Karl Marx, Il Capitale, critica dell’economia politica, a cura di Delio Cantimori, Torino: Einaudi

⁵ Sulla teoria matematica dei gruppi di trasformazione: Emilio Gattico, Epistemologia genetica e costruttivismo, Milano: Studium, 2014.

⁶ William Shakespeare Il mercante di Venezia, Testo originale a fronte, Milano: Mondadori, 2017.
 Maurice Blanchot L’espace littéraire, Paris: Gallimard, 1955

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