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Il tempo della follia. La follia del tempo

Autore

Chiara De Pol
Professionista della comunicazione e lavora in una delle aziende più importanti del settore turistico in Italia, Trentino Marketing. Si laurea in management per il turismo e si specializza in social media customer care a H Farm, e ottiene un master a IED Milano in Influencer marketing. Dopo un’esperienza pluriennale nel mondo della comunicazione tradizionale italiana ed estera, si specializza nella comunicazione dei nuovi media. Grazie al lavoro degli ultimi anni si è ritagliata un ruolo importante all’interno dell’azienda diventando il membro più giovane del Team di management di Trentino Marketing; è inoltre member dello strategic editorial commitee dell’azienda e ricopre il ruolo di Responsabile Social Media & Influencer Marketing oltre che a quello di Vice Head of Brand & Communication. E’ altresì a capo della comunicazione social di alcuni dei più importanti eventi del Trentino, tra cui Il Festival dell’Economia, Il Festival dello Sport e I Suoni delle Dolomiti e coordina l’intera comunicazione dei canali social di Visit Trentino. Ha collaborato come Guest Professor per IED Milano, Università di Verona e Trentino School of Management. I suoi hobby invece la portano in montagna: è infatti Founder di Trekking Rosa, un progetto di comunicazione non convenzionale per la prevenzione del tumore al seno, contributor di Donne di Montagna e Presidente dell’Associazione Lotus - oltre il tumore al Seno.

Dapprima il suono dei grilli e delle cicale, poi il vento che si intrufola e sussurra tra la secca boscaglia della macchia mediterranea, infine il barlume delle sole stelle. Un profondo respiro che pare allinearsi ed integrarsi con questo tutto, e così, in una calda notte d’estate, nell’entroterra sardo, il tempo ha rallentato ed il mondo è parso più essenziale. La sostanza delle cose si è rivelata, nella sua semplicità, necessaria.

Solo in quel momento è chiaramente emersa che quella era un’esigenza dell’anima che chiedeva lentezza e calma, esigeva silenzio senza interruzioni, bramava realtà non intermediata, quiete senza interferenze. Voleva una pausa. Ma da cosa nasceva questo bisogno?

Siamo così abituati a giornate piene di riunioni, suoni, notifiche, e-mail. I tempi sono stretti, quasi compressi: mentre scrivi una mail rispondi al telefono, mentre telefoni cammini verso la prossima riunione, poi c’è la notifica di TikTok e quella di Whatsapp, l’ultimo aggiornamento dell’algoritmo di Instagram a cui adeguarsi, la macchina da ritirare dal meccanico, la spesa da fare… in un susseguirsi frenetico di reminder che, fino a sera, ti notificano il prossimo appuntamento: il tutto si ripete di giornata in giornata fino a pochi istanti prima di dormire. In questa vita non c’è spazio per le pause.

Mi sono risposta che forse il social media manager ha bisogno di queste pause in contesti diametralmente opposti rispetto a quelli in cui è normalmente inserito, così come lo psicologo ha la necessità di andare dallo psicologo ogni qualvolta si senta “pieno” dei problemi altrui: si ha la necessità di svuotarsi ognuno a proprio modo. Si rischia sennò, la follia.

Se definiamo infatti la follia come lo «stato di alienazione mentale determinato dall’abbandono di ogni criterio di giudizio» è quello che spesso si rischia rimanendo per troppo tempo immersi in contesti digitali. Dal punto di vista psicologico esistono persone che sono dipendenti dai loro smartphone, da internet, dai computer e che arrivano perfino ad isolarsi dal mondo esterno. Questa viene definita sindrome da Hikikomori. Al giorno d’oggi nessuno è mai solo con sé stesso, si è costantemente connessi, perennemente raggiungibili e, essendo abituati a vivere in questo mondo, anche staccarsi dal cellulare per poche ore può causare nervosismo e/o stress (estrapolato da Istituto di Psicoterapie).

Ed ecco perché mi sorprendo di questa “attesa”, così silenziosa, assente di notifiche e di disturbi ma ricca di nuovi suoni prima coperti: perché non ne siamo più abituati e quando accade ne sentiamo l’estrema necessità.

Marco Belpoliti, scrittore, critico letterario e giornalista, recentemente tornato alla ribalta delle cronache, dopo che il suo pezzo Elogio dell’attesa nell’era di WhatsApp è stato incluso tra le tracce del tema d’attualità della prima prova della Maturità 2023, riflette sull’attesa e scrive: «Non sappiamo più attendere. Tutto è diventato istantaneo, in “tempo reale”, come si è cominciato a dire da qualche anno. La parola chiave è: “Simultaneo”. Scrivo una e-mail e attendo la risposta immediata. Se non arriva m’infastidisco: perché non risponde? Lo scambio epistolare in passato era il luogo del tempo differito. Le buste andavano e arrivavano a ritmi lenti. Per non dire poi dei sistemi di messaggi istantanei cui ricorriamo: WhatsApp. Botta e risposta.

La verità è che noi non sopportiamo queste zone intermedie, gli spazi e i tempi in cui siamo costretti a esercitare la pazienza. Aspettare è vissuto come un’imposizione […] Perché siamo diventati intolleranti, perché non sappiamo guardare al tempo futuro, perché non sappiamo differire». Ma la verità, secondo Belpoliti, è che «l’attesa ha a che fare con l’unica cosa che ci spaventa davvero: la nostra morte».

E per questo, forse, non la tolleriamo. 

Questa riflessione, che risale al 2018, seppur attuale in molti suoi punti, pare, purtroppo, ormai superata. Nel frattempo, si è annullata anche la paura dell’attesa della morte. Colmata e compensata dalla follia di continuare a far vivere i morti tramite l’intelligenza artificiale. Uno degli ultimi trend di TikTok utilizza infatti la tecnologia deepfake (immagini, foto o video creati tramiti intelligenza artificiale partendo da una base reale/esistente) per fare parlare, e quindi far tornare in vita, le persone morte a seguito di qualche crimine. Nella bio del profilo “La storia vive” viene descritto lo scopo del medesimo: «E se la storia prendesse vita? Per non dimenticarli».

Questi video hanno ciascuno un protagonista diverso: Sarah Scazzi, Diana Pifferi, Elisa Claps, Gianluca De Nardo e tanti altri. Si vede e si sente la persona deceduta raccontare in prima persona la causa della propria uccisione anche attraverso dettagli inquietanti e a volte crudeli. I protagonisti sono donne vittime di femminicidi, adolescenti uccisi dai coetanei o bambini uccisi per mano dei loro genitori.

Giulia Tramontano, ad esempio, inizia il video dicendo «Mio marito mi ha dato fuoco. Sono Giulia Tramontano e vorrei raccontarvi la mia storia, anche se sono solo un’ombra di ciò che ero».

A quanto pare, non viene più nemmeno concesso l’oblio e la pace dopo la morte, in un’ansia spasmodica di mostrare e creare anche quello che fino ad ora era rimasto nascosto, quasi un tabù solo soggetto a interpretazioni personali.

I brevi video contano milioni di views e like, ed è forse questo il dato che fa più riflettere alla luce delle riflessioni sopra: anche la morte viene esorcizzata e non più temuta, c’è una sorta di morbosa curiosità e necessità di annullare anche quest’attesa, l’ultima, e colmarla di contenuti, di nuova vita, che invece vivrà per sempre. La vita eterna: è forse questa l’ultima follia del web?

C’è chi pensa di sì, e sta effettivamente (rin)correndo ai ripari. La Commissione Europea ci prova a suon di norme e leggi che tentano di arginare una tecnologia che sfugge anche alla morte, figuriamoci a giuristi e legislatori. Servirebbe un’AI per bloccare un’altra AI. Ma a quanto si apprende dalla Vicepresidente Vera Jourova, la soluzione sarebbe quella di etichettare i contenuti prodotti con l’intelligenza artificiale con un “avvertimento” che metta in guardia i fruitori. Ma come arginerebbe questo semplice e quasi rudimentale metodo l’avanzata dell’AI (e dei suoi pro e contro)?. È come se un Neanderthal parlasse con un extra terrestre: follia.   

Ma la vera follia dove sta quindi? Nel cercare di fermare l’avanzata di questo tempo o vivere pienamente la follia di questo tempo? Recentemente una persona che stimo molto ha riportato alla mia attenzione questa frase, che trovo utile in questo contesto: «The best way out, is always through». Non credo ci sarà modo di arginare l’evoluzione velocissima che sta avendo AI e di escluderla totalmente dal nostro tempo e mondo; d’altra parte, è anche difficile pensare ad un tempo o un mondo senza l’aiuto dell’Intelligenza artificiale. La forza e la leva che abbiamo noi esseri umani è saperla governare, imparando a gestirla e a conviverci in modo a noi funzionale e utile. Senza demonizzarla, senza esaltarla.

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