“Non c’è un sì a cui non sia appiccicato un no. Puoi far ciò che vuoi, troverai sempre venti bellissimo idee pro, e venti contro. Ci sarebbe da credere che sia come nell’amore, nell’odio e nella fame dove i gusti devono essere diversi perché ciascuno possa avere il suo”. Così, da par suo, scrive Robert Musil [L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino 1957; p. 367].
L’ambiguità è costitutiva delle relazioni e non solo dei fatti linguistici. Siamo gli uni agli altri irriducibili e almeno in parte inaccessibili. Sia nella testualità che nelle altre forme di comunicazione vige l’evidenza che il patrimonio linguistico di ciascun parlante, è diverso da individuo a individuo. Ogni testo è quindi potenzialmente capace di significare più cose e almeno in parte il significato che dà una persona è diverso da quello che gli dà un’altra persona. L’ambiguità è di molti tipi tra i quali si evidenziano quello fonetico, lessicale, sintattico, di scopo o pragmatico. Dimentichiamo sempre che comunichiamo proprio per elaborare le differenze e le incertezze di significato di quel che diciamo o dei gesti che esprimiamo. Le modalità di elaborazione dell’ambiguità intervengono in modo decisivo nelle relazioni interpersonali fino alle scelte politiche collettive e caratterizzano le prassi delle nostre vite. L’ambiguità pragmatica si produce quando l’intenzione comunicativa viene recepita dal destinatario secondo una funzione dominante diversa. In alcun modo l’ambiguità coincide con l’equivoco o col fraintendimento, anche se questi possono essere esiti dell’ambiguità. È come il rapporto tra la luce e l’ombra, l’ambiguità: aumentando l’intensità della luce si aumenta allo stesso tempo l’intensità dell’ombra.