Ugo Morelli: Prof. Gallese, nota anche lei un certo imbarazzo che ci procurano le nostre stesse invenzioni come l’AI?
Vittorio Gallese: Il reale può cambiare e cambia ma rimane imprescindibile. Eppure, non dedicandoci a governare, imparandole, le nostre invenzioni, restiamo paralizzati dall’imbarazzo e dallo stupore più che impegnati ad addestrarci. Così oggi siamo annichiliti di fronte al Golem del digitale e dell’AI, rimuovendo il fatto che siamo noi ad averlo creato, e reificandolo e deificandolo allo stesso tempo.
UM: Eppure…
VG: Che inventi un mondo o mondi paralleli; che riproduca la realtà esistente; che si sovrapponga alla realtà come altra realtà; che entri nella nostra coscienza possedendola; che invada i nostri corpi con genetica negativa o positiva; che l’abbia già fatto, da sempre, e solo ora ce ne accorgiamo: tutte queste ed altre possibilità si profilano nell’orizzonte degli eventi con l’avvento dell’AI. E alimentano le nostre tecnofobie. Il fatto è che quello dell’AI non è un avvento ma un evento creato da noi.
UM: Che ruolo svolge la paura?
VG: Come al solito, che la situazione ci sfugga di mano. Una paura, quella di sempre, che più che dell’oggetto è paura di noi stessi incapaci di governare l’oggetto o di astenerci dall’aprire il vaso di Pandora. Un mito antico, quello del gap tra il creatore e l’oggetto creato che gli sfugge di mano, e finisce per dominarlo.
VG : Ma forse stavolta è proprio così, è il pensiero subdolo che si insinua, rimuovendo innumerevoli precedenti, tra i quali spicca Platone, che era Platone, il quale si stracciò le vesti per gli effetti distruttivi che la scrittura avrebbe prodotto sulla conoscenza, sulla memoria e sulla vita stessi degli umani. Eppure solo grazie alla scrittura noi oggi conosciamo il suo pensiero.
UM : Stefano Moriggi, perché vi siete alleati per scrivere questo libro?
Stefano Moriggi : Ci voleva un’alleanza ben congegnata tra un neuroscienziato, un filosofo e storico, e un pedagogista per creare un testo in grado di aprirci gli occhi sulla ennesima rivoluzione tecnologica in corso, quella del digitale e dell’intelligenza artificiale. Del resto filosofia e neuroscienze non sono mai state così vicine.
UM : Il sottotitolo di Oltre la tecnofobia, Il digitale dalle neuroscienze all’educazione, è polisemico e la sua efficacia segnala il valore del testo.
SM : Si tratta di un contributo che non solo va dall’analisi del digitale a quella dell’educazione nell’era digitale, ma di un’analisi che mostra con documentata chiarezza espositiva come sia l’educazione basata su un approccio neuroscientifico e storico-filosofico il modo più importante ed efficace per guarire e uscire dalla tecnofobia.
UM : Sì, perché il male sembra proprio la tecnofobia e non la tecnica.
SM : Siamo una specie tecnologica fin dalle nostre origini come homo e questa nostra distinzione si conferma e amplifica con l’avvento di homo sapiens sapiens, in buona misura proprio in ragione delle tecnologie che, una volta create da noi, non se ne stanno per così dire “là fuori”, ma circolarmente e ricorsivamente trasformano il nostro corpo-cervello-mente che le ha create.
UM : Pier Cesare Rivoltella, in questa circolarità si annidano non poche domande e non pochi rischi.
Pier Cesare Rivoltella: Concludiamo il libro considerando la necessaria attenzione da porre a una condizione, quella di noi umani, del tutto cambiata in ragione delle tecnologie digitali e dell’AI. Da tecnologie che intervenivano in un rapporto diretto con la natura, come un’ascia bifacciale; a tecnologie finalizzate all’utilizzo di altre tecnologie come il cacciavite; siamo passati a tecnologie che generano tecnologie a prescindere dal loro inventore. Quest’ultimo detiene il potere di impostarne l’utilizzo e di controllarne gli effetti, ma lo detiene del tutto? E fino a quando?
UM . È impossibile evitare di porsi simili domande nel momento in cui diviene possibile che ogni essere umano sia riempito, per così dire, di informazioni e conoscenze socialmente ed economicamente utili, da macchine sempre più connesse al cervello, fino a che ciascuno diverrà lui stesso un artefatto costituito da artefatti. Così come non si può prescindere dal chiedersi cosa diventi la libertà personale nel momento in cui sia il sistema a diventare il soggetto e il comportamento umano sia ridotto a una catena di routine.
PCR : Potremmo scegliere di imboccare una prima via che ci consentirebbe di fare di algoritmi e sistemi generativi degli effettivi strumenti di emancipazione, utili anche per guadagnare lo spazio e il tempo necessari per esprimere liberamente – come mai prima nella storia – l’irriducibile singolarità che ci costituisce. È la strada di una cittadinanza digitale matura, segnata da una consapevolezza equilibrata e non ingenua del valore ambiguo (nel senso del φάρμακον – pharmacon) della tecnologia. Nulla, in linea di principio, impedisce di incamminarsi in questa direzione. Oppure potrebbe prevalere una seconda via, che, invece, si configura come una progressiva subordinazione di noi cittadini agli imperativi del capitalismo digitale, in cui gli strumenti tecnologici finiscono per imporsi come dispositivi normativi, più che come mezzi per l’autodeterminazione individuale e collettiva. Il sospetto (o il timore) è che per diverse ragioni rischiamo di essere ciecamente attratti da questa seconda via, quasi fosse l’unica plausibile.
UM : E allora quali indicazioni proponete?PRC : Dal momento che sappiamo ancora poco sull’influenza delle tecnologie digitali sul benessere delle persone, oltre a sottolineare la necessità di sviluppare la ricerca in questo campo così cruciale per la vita individuale e collettiva e per la democrazia, è necessario mettere in evidenza i limiti di tutta una serie di futili indicazioni prudenziali, quando non tecnofobiche, che dovrebbero difenderci dal digitale. Per giungere finalmente ad approfondire il ruolo che può svolgere l’educazione per emancipare le persone nel governo delle tecnologie digitali e nella valorizzazione delle loro potenzialità. Per questo sottolineiamo la funzione della domanda nell’educare alla conoscenza, al pensiero critico, alla cittadinanza e alla libertà e consegniamo ai lettori anche un “Manifesto dell’Oltretecnofobo”.