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La contrattazione per contrastare povertà sociale nel lavoro

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Nei vari ambienti di lavoro i sindacalisti toccano sempre più da vicino disuguaglianze che ci interrogano e che vanno affrontate a partire dalla azione della contrattazione collettiva 

Il mondo del lavoro, anche nell’ambito metalmeccanico, è caratterizzato da una crescente polarizzazione tra lavoro qualificato e ben tutelato e lavoro a bassa qualifica, nel quale la precarietà non è tanto determinata dalla tipologia di rapporto di lavoro ma soprattutto dalle tutele e dal grado di accesso ad esse. 

Non è più vero che i lavoratori vivono una condizione collettiva, comune e di uguaglianza sul lavoro. Nei vari ambienti di lavoro i sindacalisti toccano sempre più da vicino disuguaglianze che ci interrogano e che vanno affrontate a partire dalla azione della contrattazione collettiva. Ne citiamo qui le più rilevanti al fine di identificare terreni concreti di impegno dell’azione sindacale e contrattuale per questi anni. 

Al contrario di altri paesi europei in Italia i rapporti di lavoro a termine coinvolgono e spesso intrappolano i giovani, come una sorta di prolungato (e spesso quasi eterno) periodo di prova. Nessun “decreto dignità” potrà garantire loro per legge la trasformazione a tempo indeterminato. Quello che con la contrattazione possiamo e dobbiamo fare sempre più è accrescere l’occupabilità: pretendendo che ogni lavoro a termine sia accompagnato da formazione, crescita delle competenze, sostegno per ricollocarsi a fine rapporto. E’ questa la leva per rompere una condizione spesso di isolamento e di debolezza e per creare lavoratori flessibili ma meglio tutelati. E la contrattazione ad ogni livello potrebbe fare molto in questa direzione se si ricorda di voler essere inclusiva e di negoziare tutele concrete in un settore e in una azienda. 

Siamo cresciuti con la convinzione che avere un lavoro significava avere sicurezza sociale e un reddito dignitoso. La polarizzazione già citata ha portato alla diffusione del part time involontario come condizione crescente di chi lavora. Mentre torna il dibattito sulla riduzione di orario, troppi lavoratori lavorano troppe poche ore, con reddito al di sotto della sussistenza. Anche in questo caso non possiamo rimpiangere il ‘900 ma introdurre tutele moderne: quali ad esempio il divieto di rapporti di lavoro al di sotto di un tetto di ore settimanali e soprattutto l’introduzione nel sistema di protezione sociale del concetto di “quasi disoccupazione” o di “disoccupato ibrido” facendo sì che chi abbia un rapporto di lavoro a poche ore settimanali o annue si veda integrato il reddito con sussidi parziali, ma tali da vivere dignitosamente. 

Abbiamo da anni come Fim Cisl per primi individuato nel diritto alla formazione continua uno dei più moderni strumenti di tutela dei lavoratori, costretti a misurarsi sempre più con una crescente trasformazione del lavoro, arrivando a sostenere che la formazione costituisce il vero articolo 18 del 21° secolo 

Il welfare contrattuale costituisce una delle più recenti novità affermatesi nella contrattazione collettiva e volte ad accrescere le tutele delle persone che lavorano ed una migliore risposta e conciliazione con la vita ed i carichi familiari. Ma proprio chi ha a cuore la crescita di questa esperienza non può non rilevare come esistano nella pratica quotidiana evidenti disparità nell’accesso ai servizi di welfare, a danno della popolazione lavorativa a più bassa istruzione, a più basso reddito e perfino a più bassa abilità digitale. Un sindacato solidale e che con il mutualismo vuole creare tutele soprattutto per chi ha più bisogni, deve reagire a questa condizione e preoccuparsi di come questo disallineamento prima informativo e poi di accesso ai servizi possa essere corretto. Pena il rischio di veder accrescere la povertà sociale di fette di popolazione lavorativa a rischio di maggiore marginalità. 

Da ultimo un evidente rischio di povertà sociale sta nell’accesso alle azioni di rafforzamento ed adeguamento delle competenze di chi lavora. Abbiamo da anni come Fim Cisl per primi individuato nel diritto alla formazione continua uno dei più moderni strumenti di tutela dei lavoratori, costretti a misurarsi sempre più con una crescente trasformazione del lavoro, arrivando a sostenere che la formazione costituisce il vero articolo 18 del 21° secolo. Ma non basta affermare diritto generali se poi osserviamo che le azioni ed i programmi di formazione e di elevazione delle competenze riguardano un numero minoritario di lavoratori, spesso già professionalizzati e ben disposti all’apprendimento. Come motivare e inserire over 50 piuttosto che giovani vittime di un precoce abbandono scolastico è la vera sfida che un “sindacato educatore” deve saper affrontare, al fine di mettere a disposizione questa strategica misura di tutela a coloro che più ne hanno bisogno. 

La povertà sociale si sta manifestando sui luoghi di lavoro in diversi aspetti e in aree di lavoro inedite. Anche tra chi è occupato e sembra appartenere a categorie di lavoratori stabili. È l’accelerazione della trasformazione del lavoro a determinare nuove sacche di debolezza o povertà nel lavoro. 

Il ruolo moderno del sindacato di prossimità, quale la Fim Cisl vuole essere, deve mettersi in gioco sempre più per sostenere i lavoratori a maggior rischio di esclusione dalle tutele o dalle soluzioni normative che si propongono un sostegno concreto. Sempre più ci rendiamo conto come non basta fare buoni accordi o innovare le tutele, ma come sia sempre più decisivo preoccuparsi di come farvi accedere le fasce di lavoratori a maggiore rischio e con maggiori bisogni, se non vogliamo limitarci ad innovazioni contrattuali fini a se stesse. 

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