“…anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire.”
[Alessandro Manzoni, I Promessi sposi, Mondadori, Oscar Classici, Milano1990; p. 521]
“In principio, dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste; vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci si è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro.” […]
“Si potrebbe però, tanto nelle piccole cose, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.
Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire”.
Sembra scritto oggi e per noi, questo brano de I promessi sposi
Non c’è da aggiungere altro.
Tra negazionisti, superficiali, complottisti e una disposizione crescente a consegnarsi a diverse forme di magia.
Di fronte a tutto questo, ancora più importante è l’assunzione di responsabilità che ci spetta.
E ci aspetta.
Sappiamo di sapere e conosciamo molti dei fallimenti dei nostri modi di conoscere.
Impariamo perciò da noi stessi e impariamo ad aiutare gli altri a riconoscere, a dubitare,
a conoscere, soprattutto i vincoli e le possibilità della nostra capacità di conoscere e di scegliere.