Strati in luogo. Mila e la guerra dei bambini

Autore

Aurora Martinelli
Aurora Martinelli, nata nel 1998, dopo gli studi classici ha conseguito una Laurea Triennale in Storia presso l’Università degli Studi di Padova con una tesi dal titolo “La lunga liberazione. La questione della specificità femminile nelle esperienze post Olocausto” con la professoressa Enrica Asquer. Contenta, ma non abbastanza, ha conseguito un'altra laurea in Graphic Design presso la LABA di Rovereto con una tesi di progetto dal titolo "Sfumature. Interazione tra podcast e comunicazione visiva in un progetto di divulgazione storica" col prof. Matteo Carboni. Mossa dal desiderio di unire l'anima storica e quella grafica e lavorare nel campo della comunicazione culturale, attualmente si muove tra Trento, dove collabora con la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e con lo Studio di Davide Dorigatti, e Bologna, dove lavora per Un Altro Studio.

Trento, settembre 2021

Aveva più volte provato a ricordare, senza tuttavia alcun successo, quando era stata la prima volta di quella tradizione che la vedeva uscire ogni sabato sera per cenare in quel ristorante affacciato su Piazza Duomo, dove facevano dei canederli così morbidi e gustosi da farle perdere la ragione. I suoi nipoti la prendevano un po’in giro e ironizzavano sul fatto che in fin dei conti usciva più spesso di loro, ventenni indecisi e accidiosi – parole loro. A lei veniva da ridere quando li sentiva parlare così, e in cuor suo era felice che qualcuno guardasse con leggerezza a questa sua tradizione, perché per lei, 80 anni passati, quell’appuntamento era tutt’altro che un vezzo da cittadina borghese. Era il check point settimanale del suo stato di salute: le dimostrava che stava bene, che poteva ancora muoversi senza chiedere l’aiuto di qualcuno e, soprattutto, che poteva ancora godersi qualcosa senza che il fisico ne incassasse degli effetti negativi. Quella sera, mentre si sedeva e iniziava a sfogliare la lista dei vini, fu distratta dal fermento della piazza, dove alcuni addetti del Film Festival stavano finendo di sistemare le sedie per l’evento della serata. Guardando quelle file ancora vuote si sentiva elettrizzata all’idea che, per la prima volta, quel suo appuntamento settimanale non si sarebbe concluso come tutti gli altri con una breve passeggiata per il centro prima di rientrare a casa, ma sarebbe proseguito addirittura con la proiezione di un film, addirittura con la musica suonata dal vivo. Un evento unico, che le era sembrato giusto festeggiare indossando il suo abito preferito, ordinando un piatto diverso rispetto ai soliti canederli e mangiando un po’più in fretta del solito, perché non credeva che ci fosse davvero il rischio di restare senza posto, ma non si poteva mai sapere.

E in effetti, quando pagò il conto e uscì dal ristorante notò che le sedie della piazza si stavano già riempiendo. Le prime file non erano ancora state occupate, e i suoi nipoti le avevano spiegato che, nonostante le apparenze, quelli erano i posti più scomodi perché per vedere il palco bisognava tenere il collo inclinato tutto il tempo, cosa che le avrebbe potuto dare fastidio. Che svegli, lei non ci avrebbe mai pensato. Però avevano ragione: il palco era piuttosto alto ed era già pieno di strumenti – i musicisti, sperava, sarebbero arrivati di lì a poco –, e solo in fondo alla struttura c’era un enorme telo bianco su cui, immaginava, sarebbe stato proiettato il… come lo avevano chiamato i suoi nipoti? Cortometraggio, ecco. Erano stati loro a consigliarle di andarlo a vedere. Le avevano assicurato che sarebbe stato breve (per questo il nome corto, allora! Che svegli, i suoi nipoti), precisazione necessaria perché sapevano che lei, ogni volta che iniziava a vedere qualcosa alla tivù si addormentava “tempo zero”, come dicevano loro. Le avevano anche spiegato che si trattava di un cartone animato e non di un vero e proprio film, ma per quanto riguardava la trama, non le era stato svelato nulla. Solamente il titolo: Mila, che doveva essere il nome della protagonista, una bambina. Del resto non sapeva niente, e questo la agitava un po’e la entusiasmava molto. Mentre ripercorreva tutte queste informazioni si sedette in quinta fila verso il centro, occupando un posto ancora vuoto vicino a una bambina che teneva la mano alla sua mamma. Si sistemò la borsa sulle ginocchia tenendo le maniglie con entrambe le mani e si voltò verso la bambina, che stava guardando le sue scarpe con curiosità. Cercando di non muoversi troppo per non spezzare la sua concentrazione, aprì la borsa, prese la scatola delle mentine e la porse alla bambina. Ne vuoi una?, le chiese, e la piccola, un po’timorosa, si avvinghiò al braccio della madre, continuando a fissarla, ma senza risponderle. Sorrise divertita e ne prese una per sé mentre tutti intorno a lei iniziarono ad applaudire: sul palco si stavano accomodando i musicisti. Senza una parola di introduzione, attaccarono con le prime note, mentre i primi fotogrammi di Mila scorrevano sullo schermo.

L’effetto fu per lei impressionante fin dall’inizio. Sulla scena si vedeva proprio quella piazza in cui si trovava ora, solo che era agghindata a festa: c’erano le giostre, il mercato con le mele e le banane, la gente felice e vestita esattamente come si vestiva quando lei era bambina. E poi c’era Mila, la piccola protagonista – della stessa età della bambina seduta accanto a lei – che stringeva tra le dita il biglietto della giostra, cavalcando su un destriero di plastica seguita dalla mamma. Era tutto così realistico che dovette guardarsi attorno per essere sicura che ciò che stava vedendo su quel grande lenzuolo bianco non ci fosse davvero. Le sembrava di essere tornata nel 1943, quando anche lei per la prima volta aveva… aspetta, ho detto 1943? Improvvisamente il cielo di quello schermo si fece più scuro, e quando gli aquiloni colorati che i bambini trascinavano in aria mutarono in aerei, e da quegli aerei iniziò a cadere qualcosa che in un attimo trasformava in fiamme ciò che toccava, capì immediatamente perché i suoi nipoti le avevano consigliato di vedere quel cartone. Perché lei, quelle cose che stava vedendo sullo schermo, le aveva vissute, ma non le aveva volute raccontare mai. Perché lei, come Mila, si trovava proprio in piazza Duomo quando le bombe avevano iniziato a cadere. Perché, proprio come Mila, ad un certo punto aveva perso la cognizione di ciò che stava accadendo e non aveva pensato subito a scappare, ma piuttosto a recuperare quel pallone con cui stava giocando, una delle cose più preziose che aveva. Come se la priorità non fosse mettersi in salvo, ma resistere all’ingiustizia di un istante in grado di distruggere tutto ciò che fino a quel momento era la normalità. Ecco che in un attimo tutto quello che per anni aveva cercato di rimuovere, facendo a fatica slalom tra fotografie, film, ricorrenze, testimonianze e richieste di testimoniare (tutte rifiutate), lo trovava dipinto magistralmente su uno schermo e proiettato negli occhi della bambina che le stava seduta accanto, con un tono così toccante, ma così delicato da non farle sentire il bisogno di divincolarsi. E mentre guardava con gli occhi incollati al telo fino alla fine dei titoli di coda, le venne chiaro un altro motivo, che non aveva mai inquadrato davvero, per cui quella tradizione di andare a mangiare fuori una volta in settimana era per lei così importante: aveva bisogno di ricordarsi che quello stesso luogo, quella stessa piazza, da cui quasi settanta anni prima era fuggita a fatica, lasciando dietro di sé degli sconosciuti che invece non ce l’avrebbero fatta, poteva e doveva essere qualcosa di diverso. Aveva bisogno di ricordarsi e di esperire che sopra quello strato di polvere lasciato dai bombardamenti sul lastricato, si erano col tempo depositati innumerevoli altri strati, tanti quanti le persone che avevano attraversato o sostato nella piazza per sedersi a riposare sotto la fontana del Nettuno, per comprare del miele da una bancarella, per vedere le luci durante il Natale, per scontare penitenze irriverenti nel giorno della propria laurea, per riabbracciare qualcuno di amato dopo tanto, tanto tempo. Aveva bisogno di ricordarsi tutto questo, perché era l’unico modo in cui poteva, anche se a distanza di così tanto tempo, vincere la guerra. 

NOTE

Mila (2021) è un cortometraggio diretto da Cinzia Angelini e realizzato con la stretta collaborazione di Valerio Oss nel ruolo di produttore esecutivo, editor e supervisore degli effetti visivi, che è stato estremamente gentile e disponibile nel raccontarmi qualche retroscena sulla realizzazione di questo progetto. Un progetto nato “davanti a una birra” da un’idea della regista, che si è poi espansa fino a coinvolgere 350 tra professionisti e studenti nel mondo dell’animazione, dall’Italia agli Stati Uniti e in un’altra trentina di Paesi, e che per dieci anni hanno lavorato alla realizzazione del cortometraggio a titolo gratuito. Perché ciò che ha animato il progetto, fin dall’inizio, non è stata la prospettiva di un ricavo, ma quella di dare una forma visiva ad un messaggio, ad un pezzo di storia che in qualche modo ha coinvolto chiunque abbia vissuto negli anni Quaranta. Mila, la piccola protagonista, perde la madre durante un bombardamento su Trento. Eppure nel film, se c’è spazio per la commozione (tanta), non ce n’è per il dramma: Mila, soccorsa e portata in salvo da una donna che a sua volta conta delle perdite per via del conflitto, con quel poco che ha disposizione ricostruisce il proprio mondo ri-mettendo a posto quelle piccole cose, come il biglietto della giostra o il berretto datole dalla madre, che sanno banalmente e potentissimamente di normalità.

Il cortometraggio è disponibile su Raiplay al link https://www.raiplay.it/video/2021/11/mila-c66b87b9-fc47-46b0-ad02-b189ff2b717c.html . Maggiori informazioni sul progetto si possono invece trovare sul sito https://milafilm.com/

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