Sul gioco e la sua fenomenologia

Autore

Paolo Fedrigotti
Paolo Fedrigotti (Rovereto, 1981) si è laureato in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi su Dante e la filosofia medioevale. Si è specializzato nell’insegnamento secondario presso la Ssis della Libera Università di Bolzano. Ha conseguito il baccellierato in Sacra Teologia presso lo Studio teologico accademico di Trento. Nella stessa città è docente di storia della filosofia e di filosofia della conoscenza ed epistemologia all’Istituto teologico affiliato e all’Istituto di scienze religiose, nonché di filosofia e storia nei licei di Riva del Garda. È membro della Scuola di Anagogia di Bologna e autore di numerosi articoli specialistici e monografie.

Note a margine del saggio I giochi e gli uomini di Roger Caillios

Accostare la dimensione antropologica del gioco per tentarne l’essenza è – contrariamente a quanto potrebbe apparire sulle prime – un’operazione assai difficile: ce ne si accorge cogliendo l’intimo nesso che stringe il gioco al cuore della natura umana, una realtà intrisa di animalità e al tempo stesso irriducibile al puro dato biologico. Partecipando della potenza generatrice dell’arte e incorporando in sé il dispendio psichico e intellettuale del lavoro, il gioco è per l’uomo un’indisgiungibile composizione di otium (inteso come postura contemplativa, rivendicante aspetti di creatività, originalità e metaeconomicità) e negotium (visto invece come un approccio pratico all’esistenza segnato dal fattore del movimento e dall’osservanza di determinate regole)¹: tale amalgama testimonia la trascendenza qualitativa dell’attività ludica umana rispetto al gioco degli animali bruti, che – pur essendo reale – si esprime necessariamente entro i fissi parametri dell’istintualità. Per gli uomini, il gioco è un dinamismo complesso tutt’altro che rigido, fondamentalmente proteso alla distensione, alla decontrazione, alla liberazione del sé e in grado di coinvolgere il soggetto nella sua integralità. Scrive Adriano Alessi:

«Il gioco non riguarda unicamente il corpo: anche negli sport in cui domina l’esercizio fisico, esso risulta sempre espressione totalizzante dell’io, in tutte le sue dimensioni, intellettive, volitive e affettive. Sia nel determinare le regole del gioco, sia nell’escogitare le vie più opportune per ottenere le finalità perseguite, colui che gioca è chiamato a dar prova di ingegnosità, perseveranza, tenacia, spirito di sacrificio»² .

Oltre a ciò, il gioco umano ha come obiettivo la realizzazione della persona mediante il raggiungimento della sua soddisfazione (in quanto ri-creazione esso è tendenzialmente accompagnato da un più o meno intenso senso di piacere che si manifesta anche laddove la fatica e la stanchezza fossero ingenti) e risulta importante per la sua socialità, non solo in quanto confronto competitivo tra il e gli altri, ma anche come scuola di vita e palestra di rispetto/stima nei confronti dei compagni o degli avversari. 

Se – andando alla radice di tali pur condivisibili affermazioni – ci venisse chiesto di offrire una definizione rigorosa di gioco, come ci potremmo esprimere? E se poi occorresse categorizzarne le espressioni più paradigmatiche? Per rispondere a questi interrogativi può venirci in aiuto un’opera pubblicata nel 1958, che ormai è diventata un classico sull’argomento: I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine di Roger Caillois. Lo scritto si configura come un ideale controcanto a Homo ludens di Johan Huizinga, uscito vent’anni prima, e come una messa in discussione della visione di gioco offertaci dallo storico e linguista olandese: una visione che, per quanto ponga meritoriamente in evidenza le affinità esistenti tra il gioco e l’arcano, è – a giudizio di Caillois – imprecisa e dunque perfettibile³. L’Accademico di Francia tratta il gioco come uno specchio delle mutazioni sociali umane: per la sua prospettiva, giochi e giocattoli sono paragonabili a residui culturali, nella cui evoluzione si possono riconoscere tanto le mutazioni avvenute nel passato quanto quelle in atto⁴. Tutto ciò si pone evidentemente in contrasto con Huizinga, secondo cui il gioco sarebbe una dimensione intrinseca alla cultura e non una sua conseguenza. Come Huizinga, d’altro canto, anche Caillois crede che il gioco debba esser visto come un’attività libera e volontaria, fonte di gioia e divertimento.

«Un gioco a cui si fosse costretti cesserebbe subito d’essere gioco: diventerebbe una costrizione, una corvée di cui non si vedrebbe l’ora di liberarsi. Obbligatorio o semplicemente consigliato, perderebbe una delle sue caratteristiche fondamentali: il fatto che il giocatore vi si dedichi spontaneamente e unicamente per il proprio piacere, avendo ogni volta la piena libertà di preferirgli il riposo, il silenzio, il raccoglimento, la solitudine oziosa o un’attività produttiva. (…) Il gioco è poi un’occupazione separata, scrupolosamente isolata rispetto al resto dell’esistenza e svolta, in generale, entro precisi limiti di luogo e di tempo»⁵. 

Come c’è uno spazio per il gioco (la scacchiera per gli scacchi e la dama, ad esempio, ma anche lo stadio, la pista, il ring, il campo, ecc.), così dev’esserci un tempo da dedicare ad esso, tendenzialmente pattuito da coloro che vi prendono parte; ogni gioco, inoltre, prevede delle norme precise, arbitrarie e irrevocabili, che bisogna accettare come tali da chiunque partecipi all’attività ludica⁶: 

«Molti giochi – continua Caillois – non paiono comportare regole. Non sembrano essercene, per lo meno rigide, per giocare alle bambole, alla guerra, a guardie e ladri, o a fare il treno, l’aereo, il cavallo e a tutti quei giochi che presuppongono una libera improvvisazione e la cui attrattiva principale deriva dal piacere di recitare una parte, di comportarsi come se si fosse qualcuno o addirittura qualcosa d’altro. Nonostante il carattere paradossale dell’affermazione, dirò che in tal caso la finzione, il sentimento del come se, sostituisce la regola e assolve esattamente la medesima funzione»⁷.

Dopo aver esplicitato altre interessanti considerazioni di fondo sulla realtà del gioco, Caillois arriva a proporne un’efficace definizione. Esso viene configurandosi come un’attività segnata da sei caratteri nodali: la libertà (il giocatore non può essere obbligato a giocare senza che, come già detto, il gioco perda subito la sua natura di divertimento attraente e gioioso), la separatezza (il gioco va circoscritto entro precisi limiti di tempo e di spazio, fissati anticipatamente), l’incertezza (lo svolgimento del gioco non può essere determinato, né il risultato acquisito preliminarmente), l’improduttività (il gioco non crea né beni né ricchezza, eventualmente li può soltanto spostare, come nel caso del gioco d’azzardo), la regolazione (ogni gioco è sottoposto a convenzioni che sospendono, per così dire, le leggi ordinarie della vita e instaurano momentaneamente una legislazione nuova, che è la sola a contare) e la fittizietà (accompagnata dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o di una totale irrealtà del gioco rispetto alla vita normale)⁸.

Alla definizione appena esposta, Caillois giustappone un affascinante quanto articolato schema tassonomico di classificazione dei possibili giochi, capace di mettere a confronto quelle forme di ludicità considerate libere e caotiche (il play, o usando le parole dell’autore, la paidia) con quelle modalità più strutturate e regolamentate da codici e norme comportamentali (il game o il ludus).

«Dopo un esame attento – scrive lo studioso francese – proporrei una suddivisione dei giochi in quattro categorie principali a seconda che, nell’attività considerata, predomini il ruolo della competizione, del caso, del simulacro o della vertigine. Le ho chiamate rispettivamente Agon, Alea, Mimicry e Ilinx»⁹.

Con il termine Agon, Caillois si riferisce a quei giochi in cui è presente una componente di competizione tra i partecipanti e nei quali a contare non è tanto la qualità dell’atto ludico quanto il risultato, cioè la vittoria o la sconfitta. All’opposto dell’Agon c’è l’Alea, la dimensione che comprende tutti quei giochi che si basano sul caso e in cui l’abilità del giocatore non influisce più di tanto sul risultato. Mimicry, invece, è l’indice dell’interpretazione di un ruolo durante l’attività ludica, un ruolo che dev’essere accettato da tutti i partecipanti (e dagli eventuali spettatori) in modo che essa possa avere una certa consistenza. Con Ilinx, da ultimo, Caillois vuole indicare l’elemento della vertigine, cioè l’ebbrezza che si prova quando un determinato gioco è soggetto a forze su cui non sia ha alcun controllo (l’alpinismo o il bungee jumping ne sono due tipologie emblematiche). 

Le quattro categorie ora delineate attestano qualcosa d’importante. Stimolano senz’altro la riflessione; dicono dell’inscindibilità tra gioco ed esistenza umana e testimoniano, in specie, come nel gioco l’uomo si rapporti al mondo e al suo senso imitando ogni forma dell’esistenza e come, ben più profondamente, ogni forma dell’esistenza sia realmente tale se giocata come espressione della libertà e della responsabilità del soggetto: se si può dire, infatti, che solo chi si impegna seriamente nell’attività ludica giochi veramente, così possiamo sostenere che soltanto chi crede nella serietà della vita, nella sua assolutezza, veramente la riesca a giocare, giungendo a declinarla, oltre che come libertà da, come libertà per. 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

¹  Cfr. A. Alessi, Sui sentieri dell’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, Las, Roma 2006, p. 244
² Ibi, p. 245
³ Cfr. R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 2021, p. 20
⁴ Cfr. F. Restuccia, Voler credere. Gioco e magia in Homo ludens, in Studi Germanici, 20 (2021), p. 122
⁵ R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, p. 22
⁶ Cfr. Ibi, p. 23
Ibi, p. 24
⁸ Cfr. Ibi, p. 26
Ibi, p. 28

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1 commento

  1. Grazie della bella introduzione al significato del gioco. L’ho letta all’ombra della statua di San Giovanni Bosco e di San Domenico Savio (due santi eroi del gioco) nella Cappella dell’Universita’ Pontificia Salesiana, Alma Mater di Don Alessi, filosofo salesiano citato in prima Nota. Grazie sentitissime!

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