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Ai confini del narreale. La realtà come narrazione

Autore

Luca Fele
Luca Fele, classe 1998, ha conseguito una laurea triennale in Arti multimediali con una tesi dal titolo “Il binding problem e l’azione unificante dell’atto spettatoriale”. Poco dopo ha conseguito un master in Game based learning e gamification nei contesti educativi con un elaborato finale intitolato “Il valore educativo del gioco”. Attualmente si sta formando come Educatore sociale e culturale presso l’Università di Bologna. Appassionato di intrattenimento e di filosofia, adora perdersi nella ricerca e crede nella potenza trasformatrice dell'esperienza di gioco.

Questa è una storia vera…
Classico incipit di fiabe

Vaneggi1 introduttivi

Possiamo definire come reale il tipo di narrazione che troviamo in un articolo di giornale? Si può dire che un film documentario sia un lavoro di finzione? Qual è il legame che sussiste tra le parole pettegole scambiate in un bar di paese tra due anziani che sparlano del sindaco e una bambina che uscendo dal cinema agita un bastone nell’aria trafiggendo infiniti invisibili mostri e sconfiggendo innumerevoli immateriali antagonisti?

Un’idea che è passata attraverso i secoli, riverberando per la storia del pensiero fino ad arrivare alle considerazioni su disinformazione, misinformazione, fake-news eccetera, tipiche di quella che viene chiamata enfaticamente l’era della post-verità2, è quella che la realtà sia direttamente opposta alla finzione e che abbia una valenza oggettiva, incontestabile, indipendente dalle deformazioni delle percezioni soggettive. La realtà è vera mentre la finzione è falsa. Dicotomicamente molto semplice.
Fino a che punto sono invece prossime finzione e realtà? Vedere la realtà come un tipo di narrazione, una forma di finzione, una sensazione prodotta da quell’incredibile potenza di creazione di senso e illusione che è la mente umana3 può essere utile per rivelare alcune delle sue effettive caratteristiche intrinseche ma soprattutto apre a scrittori e autori di ogni tipo un nuovo fecondissimo campo di lavoro.

Nelle fiabe più fantastiche che leggiamo ai nostri bambini prima di metterli a letto sono già presenti elementi di realtà profonda che hanno conseguenze radicalmente formative. Le fiabe e la letteratura per l’infanzia sono reali tanto quanto un necrologio.

Di contro, molte verità concrete, materialmente sensibili e pesantemente normative della vita di tutti i giorni, sotto uno sguardo critico più approfondito si rivelano permeabili alle narrazioni culturali dominanti, facilmente plasmabili da possibili finzioni ideate a tavolino da maestri manipolatori oppure, senza dover per forza trovare qualcuno a cui dare la colpa, nient’altro che concrezioni causate dall’inerzia dell’abitudine che stratifica e sedimenta le forme dell’essere che sono finora state, andando a stabilire una normalità normativa che determina quello che dovrebbe e deve essere.

La realtà come costruzione sociale

Nel 1966 Peter L. Berger e Thomas Luckmann pubblicano The social construction of reality. 

Questa è un’opera fondamentale come letteratura base per chiunque sia interessato a cimentarsi in ricerche attorno alla natura della realtà ma che vale anche molto bene come rampa di lancio per aspiranti maghi e alchimisti che vogliano imparare a controllare la realtà a loro piacimento.

Lascio riassumere al professor Thomas S. Eberle (1992) la tesi principale di questo caposaldo della sociologia della conoscenza: «La sua logica era semplice: bisogna cogliere la società nella sua dualità in quanto realtà ‘oggettiva’ e ‘soggettiva’. La realtà sociale oggettiva, pur prodotta dall’azione sociale, appare all’individuo come separata e indipendente da lui o lei. Il lato soggettivo consiste nella coscienza che un attore ha, plasmato nei processi pervasivi della socializzazione e sostenuta e modificata nelle interazione giornaliere»4. Seriamente, andate a leggervi questo libro. È magnifico.
Però, per evitare di perderci nei deliziosi labirinti della teoria e dell’accademia, in questo articolo mi limiterò a evidenziare l’intuizione radicale che è racchiusa nel suo titolo: ci rivela che la realtà è costruita socialmente e questo la caratterizza come una dimensione soggettiva che si costituisce nella coscienza di un individuo, come conseguenza dell’immersione nella quotidianità delle esperienze di interazione sociale. Questa pervasività dell’esperienza del reale, la fa apparire come oggettivamente indipendente; essa si presenta come una semplice “fattualità autoevidente e indiscutibile” che “non richiede una verifica ulteriore oltre la sua semplice presenza”5.
Seguendo questa traccia viene da chiedersi se un approccio fenomenologico alla realtà possa permetterci di capirla meglio e magari persino di maneggiarla: che effetto estetico può creare una narrazione costruita in modo mirato per ri-costruire (socialmente) la realtà? Si può manipolare la realtà tramite la finzione?

La realtà sociale come ruoli in gioco

Ora che abbiamo iniziato a cogliere la natura costruita della realtà, vi propongo di continuare questo percorso provando a esplorare come essa sia strutturata: come è fatta questa costruzione? Che caratteristiche ha? Ci sono delle regole alle quali soggiace?

Fin qui ho forse considerato in modo esteso la realtà sociale come realtà tout court. Eppure non possiamo sfuggire al fatto che l’essere umano, “animale politico”6 che è di sua natura un essere sociale, proprio dentro alla società trovi (o costruisca) la sua realtà.
Inoltre, come sostiene Bruner, l’essere umano è radicalmente narrativo7: per dare significato alle proprie esperienze costruisce rappresentazioni delle interazioni che ha avuto col mondo e con gli altri, creandosi schemi narrativi attraverso i quali cerca (e ogni tanto forse anche trova) il senso della propria esistenza. La cognizione umana opera e si sviluppa socialmente e il significato che costruisce è inestricabile da questo contesto: è allo stesso tempo un derivato della narrativa socio-culturale e un elemento narrativo che va a formare la grande narrazione collettiva che non è altro che la cultura stessa. La cultura è narrativa e la sua realtà è fatta di interazione sociale.

Nel 1961 Erving Goffman pubblica Encounters: Two studies in the sociology of interaction. In questi due saggi Goffman analizza la struttura dell’interazione, esaminando le dinamiche emergenti dagli incontri sociali: in Divertimento e gioco la sua brillante intuizione è che le regole che soggiacciono a un’interazione ludica possono essere usate come metafora delle regole che governano la vita di tutti i giorni; in Distanza dal ruolo illustra come le identità sociali siano strutturate dai ruoli, formate e performate all’interno di cornici che regolano le azioni possibili e i comportamenti previsti.
Nelle prime pagine del primo saggio, Goffman cita un passaggio emblematico di Riezler (1941): «[La regina degli scacchi] è un’entità nella partita, definita dai movimenti che le consente il gioco. La partita è il contesto nel quale la regina è quello che è. Questo contesto non è il contesto del mondo reale o della vita ordinaria. Il gioco è un piccolo cosmo per conto suo»8. A questo punto Goffman porta avanti la tesi centrale al suo saggio, che a mio parere ha una significativa rilevanza dato che finisce quasi per invertire il rapporto tra realtà e finzione. Goffman afferma che «i giochi, quindi, sono attività che costruiscono mondi. Ora, a mio parere, anche l’attività seria possiede questo carattere»9. La realtà è quindi radicalmente ludiforme, non è altro che un mondo costruito dall’attività sociale, il contesto nel quale i ruoli sociali sono quelli che sono, come la partita di scacchi per la regina.

Goffman ci rivela così come la realtà sociale abbia delle regole precise, identificate con quelle proprie dei vari frame di riferimento: in un incontro di interazione, è possibile individuare le sue meccaniche intrinseche, studiare le dinamiche che emergono e perfino riflettere sugli effetti estetici10

Nell’espressione delle proprie identità, i ruoli sociali si concretizzano, si apprendono ed esplorano, si assumono, si negano e si ridefiniscono: la realtà sociale non è altro che un complesso gioco di ruoli.

Il narreale

E quindi? Come ricollegare realtà, finzione e narrazione?
Provando a cogliere quanto la realtà sia effettivamente il prodotto di una costruzione che si svolge proprio nell’interazione che nasce dal mettere in gioco i ruoli sociali, dovremmo renderci conto di quanto questa sia effettivamente simile ad una storia. Non è poi così incredibile l’idea di vedere la realtà come una forma di narrazione, una megastruttura narrativa dal carattere doppiamente oggettivo e soggettivo, veritiero ed illusorio. 

Finzione e realtà diventano così fratelli gemelli: chiamiamo finzione l’arte di narrare quello che non è, mentre con realtà non facciamo altro che riferirci all’insieme delle storie che si dicono su quello che è. La realtà ci appare quindi come la finzione con il grado di verosimilitudine più alto di tutte.

Durante i miei studi di arte contemporanea ho coniato il termine “narreale per descrivere sia la mia pratica artistica che l’effetto estetico che tentavo di raggiungere con le mie opere: sovrapporre la narrazione di un paracosmo11 verosimilmente saturo di legami metanarrativi12 alla realtà stessa, per poi usare le regole della narrazione per modificare la realtà e la nostra percezione di essa.

Una volta che la realtà diventa un genere di finzione, l’autore è demiurgo13. Le storie che intreccia plasmano il mondo mentre le figure retoriche e le tecniche narrative che implementa rivelano alcune fondamentali fallacie di quello spazio di senso che si tende a considerare come realtà; contribuiscono a installare nuovi spazi del possibile dentro l’universo dell’essere, tramutando potenziale in attuale, rendendo possibile l’impossibile.
O quanto meno espandendo capacità fantastico-creative e accendendo fuochi di curiosa innovazione, fomentando fantasticherie e contribuendo a demolire l’appiattimento dell’euristica più pericolosa di tutte, ovvero quella che dice: “quello che è sempre sarà”.

Narreale è quello che accade quando un narratore decide di costruire un proprio universo e di costruirlo su schema della realtà stessa. Questa vicinanza comporta una reciproca contaminazione: il reale diventa parte integrante degli elementi narrativi mentre la narrazione diventa forma organizzatrice di senso delle forme indistinte che contribuiscono a creare il senso di realtà.

Il larp come gioco di ruolo narreale

Tra le innumerevoli forme di arte narrativa esistenti, vorrei portare alla vostra attenzione il larp poiché per le sue caratteristiche strutturali entra facilmente in sintonia con i discorsi che abbiamo introdotto in questo articolo e forse ci aiuta persino a vederne alcune dimensioni aggiuntive.

Come ci suggerisce il termine14, il larp è una particolare forma di gioco di ruolo dal vivo, ovvero un gioco narrativo nel quale l’interpretazione dei personaggi è fatta di persona, usando il proprio corpo e le proprie parole come se si fosse veramente all’interno della realtà di finzione. In certi sensi è simile ad alcune forme di improvvisazione teatrale, ma per molti altri va assolutamente considerato una forma espressiva a sé stante. In ogni caso, perfino gli esperti del settore sostengono che sia difficile far capire cosa sia esattamente il larp a chi non ne ha mai preso parte, data la sua forte componente esperienziale. Come il concetto di realtà, anche quello di larp tende a sfuggire alla definizione.

Lascio spiegare meglio a Umberto Francia, sceneggiatore, regista e larp designer: «Nel larp i partecipanti vestono fisicamente i panni dei personaggi di una storia che mettono in scena senza un vero e proprio copione, improvvisando sulla base di ciò che sanno della propria identità di finzione e della realtà immaginaria in cui i personaggi si muovono. Come fossero i protagonisti di un romanzo o di un film, i personaggi si relazionano fra loro e con l’ambiente, che in modo figurato o realistico riproduce il luogo che è teatro dei fatti raccontati nella messa in scena»15.

Nascono spontanee delle domande. In un’esperienza di larp, cosa è vero e cosa è finto? L’interazione che avviene tra personaggi è reale quanto l’interazione fatta tra giocatori? Quanto senso ha fare questa distinzione?
Dato che si tratta di un’esperienza progettata, alla stessa maniera di un qualsiasi tipo di arte esperienziale o partecipativa, verrebbe da dire che l’esperienza del mondo che ne fanno i giocatori è chiaramente fittizia, nient’altro che un effetto estetico frutto delle impressioni derivate dagli elementi scenografici e dalla percezione dell’azione di gioco degli altri giocatori presenti in scena. L’esperienza che si viene a creare non è altro che una magnifica illusione, un grande “facciamo finta che” collettivo, un’opera creativa a tutti gli effetti che è il risultato del lavoro di design e di partecipazione creativa nell’azione che emerge durante l’evento. Un tipo di finzione, quindi.

Ricordiamoci però, come ci hanno mostrato Berger e Luckmann, che l’interazione sociale costruisce una realtà. Se i giochi sono attività che di per sé generano mondi, la specificità del gioco di ruolo sociale è quello di generare delle realtà. La forma particolare di gioco del larp non è altro che la costruzione collettiva di una realtà alternativa nella quale potersi immergere, ed è proprio nell’interazione sociale con gli altri giocatori che avviene l’effetto estetico ricercato, ovvero il dimenticarsi che esista una realtà di primo ordine della quale la realtà di finzione del gioco non è che quella di secondo ordine. Il giocatore vuole credere di essere un personaggio, vuole sentire che quella è la sua unica realtà e il modo di raggiungere questa fantastica illusione è attraverso l’interazione sociale: tutti i giocatori, insieme, costruiscono la realtà di gioco, la mantengo, le danno vita e dentro a questo spazio di realtà sociale che si viene a creare, si divertono a giocare di ruolo.

Nel larp il ruolo è esploso: è esplorato, messo in scena, navigato, spinto al limite, sovvertito, interpretato, raccontato, estetizzato, partecipato, incorporato, … Il divertimento dei giochi di ruolo sta proprio nel “giocare il ruolo”. Se sei un oscuro mago malvagio che sta attaccando una scuola di magia, ti divertirai ad usare la tua agentività proprio per mettere in scena tipiche azioni del tuo ruolo: urlando scenicamente incantesimi proibiti, strabuzzando gli occhi con sguardo folle, avanzando minacciosamente facendo svolazzare il tuo lungo mantello nero dietro di te. Nell’essere un personaggio, nell’incorporare le aspettative del proprio ruolo giocando con la propria agency, nel diventare uno schema narrativo messo in atto, il giocatore non fa altro che esplorare le cornici dell’interazione sociale, provandosi addosso identità, modi di espressione e diverse forme di relazione. Nella realtà sociale del larp, si impara a vivere nella realtà del ruolo.

Il lavoro collettivo di larp designer e collaboratori, insieme al fondamentale input vivo e relazionale portato dai giocatori stessi durante l’evento, produce nei giocatori il senso di narrealtà che è alla base dell’effetto di quello che potremmo chiamare attivazione della credenza facendo eco al concetto estetico della sospensione dell’incredulità così caro alla discussione sulla finzione e sul suo doversi imporre sulla realtà come mondo alternativo.

Il larp è una forma espressiva narreale: crea spazi di realtà che permettono di fare esperienze vere, un distillato di vita quotidiana, un condensato di vissuti narrativamente compressi, caricati dai designer di significati potenziali e di significato incorporato individualmente nella messa in atto dell’agency del personaggio/persona. Questo offre opportunità preziose e uniche nel loro genere che portano a una crescita che è incontestabilmente reale nelle competenze emotive, sociali e relazionali che si sviluppano nella persona che vi partecipa. Data questa sua caratteristica di creare esperienze forti, significative e profonde nei suoi partecipanti, il larp è già stato indicato come ottimo strumento di formazione, educazione16 e perfino terapia.

Fare esperienze di larp può essere un ottimo modo per iniziare una sorta di alfabetizzazione ontologica che, attraverso questa pratica di salti di realtà e di conscia ricerca di esperienze di un reale-diverso, insegnerebbe a dissipare la «pericolosa illusione che la propria visione soggettiva della realtà sia l’unica realtà»17.

Quando il larp funziona, reale e narrato si sovrappongono: nei corpi in gioco si esplorano i confini del narreale.

NOTE

  1. Dal vocabolario online Treccani: “Vaneggiare. v. intr. [der. dell’agg. vano] (io vanéggio, ecc.; aus. avere). – 1. a. Vagare con la mente in pensieri che non hanno contatto con la realtà; …”. In realtà spero che i seguenti pensieri qualche contatto con la realtà ce l’abbiano.
  2. Sarebbe bene citare qui qualche fonte, ma mi limito a consigliare di visitare la pagina Wikipedia sulla post-verità. La versione in lingua inglese fa pure riferimento ai precedenti storici in filosofia.
  3. Ho trovato questo articolo che mi sembra interessante: Edelson, M. (1986). The convergence of psychoanalysis and neuroscience: Illusion and reality. Contemporary Psychoanalysis, 22(4), 479-519.
  4. Traduzione mia da: Eberle, T. S. (1992). A new paradigm for the sociology of knowledge: “The social construction of reality” after 25 years. Schweizerische Zeitschrift für Soziologie, 18(2), 493-502.
  5. Berger, P. L., Luckmann, T. (1969). La realtà come costruzione sociale, Mulino, Bologna, p.44.
  6. Aristotele, Politica.
  7. Per il legame tra cultura, sviluppo e narrazioni suggerisco di sfogliare Bruner, J. S., (1996). The culture of education.
  8. Riezler, K., (1941). Play and seriousness. The Journal of Philosophy, 38(19), 505-517.
  9. Goffman, E. (1979). Espressione e identità, p.23, Arnoldo Mondadori Editore, Milano.
  10. Sto un po’ impropriamente usando le categorie analitiche proprie dei game studies. Per approfondire si veda Hunicke, R., LeBlanc, M., & Zubek, R. (2004, July). MDA: A formal approach to game design and game research. In Proceedings of the AAAI Workshop on Challenges in Game AI (Vol. 4, No. 1, p. 1722).
  11. Silvey, R., & MacKeith, S. (2019). The paracosm: A special form of fantasy. In Organizing Early Experience (pp. 173-197). Routledge.
  12. Fludernik, M. (2003). Metanarrative and metafictional commentary: From metadiscursivity to metanarration and metafiction. Poetica, 35(1/2), 1-39.
  13. Per chi volesse approfondire questa metafora: https://gnosticismexplained.org/the-gnostic-demiurge/
  14. Questa simpatica parola deriva dall’acronimo anglofono di live action role-play ma si è ormai consolidata a tutti gli effetti anche nel lessico italiano.
  15. Francia, U. (2023) Larp, giochi di ruolo dal vivo. Creare esperienze immersive con il live action role-play, Dino Audino editore, Roma, p.15. Il fatto che un manuale di larp design sia stato pubblicato da Dino Audino, editore specializzato nella formazione delle discipline dello spettacolo, manifesta la rilevanza del larp come forma artistica autonoma e degna di analisi e studi specifici.
  16. Maragliano, A. (2020). EDU-LARP. Game Design per giochi di ruolo educativi, FrancoAngeli, Milano.
  17. Ho qui parafrasato il famoso avvertimento fatto da Paul Watzlawick in La realtà della realtà (1976).

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