Educazione e libertà di scelta

Autore

Generoso Picone
Generoso Picone, Giornalista, Scrittore, autore di pubblicazioni storiche e di analisi sociale, studioso della letteratura italiana contemporanea.

Qualche tempo fa, Edgar Morin riprese una riflessione dai Saggi di Michel de Montaigne dove si sostiene la necessità di perseguire l’obiettivo di un’educazione fondata non tanto sull’idea di ottenere una “testa ben piena” quanto sulla possibilità di vedere congegnata una “testa ben fatta”.  Il filosofo e sociologo francese – il quale aveva appena superato il secolo di vita, il prossimo 21 luglio festeggerà il centoquattresimo compleanno – intendeva così dire che la pratica di immagazzinare dati in maniera sistematica, senza disporre un principio di selezione e organizzazione che riuscisse a inserire elementi di senso, rappresentava un esercizio che nell’accumulazione mnemonica e nozionistica conteneva un tratto di debolezza rispetto all’esercizio teso alla maturazione di un’attitudine e tempestività in grado di maneggiare e affrontare le informazioni impiegando principi organizzatori e categorie interpretative con cui connettere saperi, stabilire interconnessioni e raggiungere significati. 

  Montaigne delineava in questo modo una pedagogia fondata sull’esaltazione del pensiero critico, strettamente legato alla conquista della libertà individuale: una “testa ben fatta” è infatti libera di scegliere, di capire e di orientarsi secondo una propria visione del mondo, non imposta dall’esterno ma costruita attraverso un continuo dialogo interiore. Morin giudicava questa pratica condizione essenziale per poter sviluppare le potenzialità della persona, raccogliere le sfide della complessità e ambire a quella che lui chiama – in un testo non a caso intitolato La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, pubblicato nel 2000 da Cortina – l’arte del vivere. Verrebbe da riprendere quelle pagine e consegnarle all’attenzione generale, chiedendo che prendano voce nel dibattito oggi acceso dal disegno della nuova scuola italiana che emerge dalle Indicazioni nazionali avanzata dal ministro Giuseppe Valditara, titolare del dicastero dell’Istruzione e del Merito nel governo presieduto da Giorgia Meloni. 

  Chissà in che modo Edgar Morin commenterebbe lo schema di una scuola per gli anni Duemila che curva il suo sguardo sul passato in una sorta di approccio nostalgico e restauratore, proponendo un modello educativo esclusivo e selettivo, comunque lontano dalle esigenze dettate dalla contemporaneità, contrario a ogni visione globale e interdisciplinare. Chissà se alzerebbe la mano per obiettare di fronte all’enunciazione di un progetto educativo che nell’esasperazione dell’istanza tecnicistica e professionale tende ad archiviare con decisone intimativa la lezione di Tullio De Mauro quando sosteneva che un alto livello di istruzione e cultura costituisse la base per una società più responsabile, condizione necessaria per costruire una vita civile più solida e virtuosa. Chissà se nella svolta annunciata non individui il tentativo di superare il valore della conoscenza larga e problematica in favore del canone della competenza settoriale immediata e ridurre così la scuola pubblica a una sorta di laboratorio che sforna manodopera a basso costo, consegnando alle istituzioni private e dunque a chi detiene privilegi sociali ed economici l’opportunità di coltivare una sorta di prerogativa di classe. 

  C’è un passaggio nell’ultima e preziosa riflessione che Ivano Dionigi ha dedicato alle questioni dell’istruzione – Magister. La scuola la fanno i maestri, non i ministri, Laterza – in cui l’ex rettore dell’Università di Bologna avverte che non può annoverarsi nei compiti della scuola «trasferire alla società competenze e conoscenze di utilità immediata, come sollecitano aziende, mercato, bandi europei, e come invocano le stesse sorti economiche e occupazionali del nostro Paese affetto da un cronico deficit di cultura industriale, tecnica e scientifica». Si tratta – aggiunge – di «finalità secondarie ed effetti collaterali», non della ragione «prima e formativa», per richiamare ciò che sostiene Derek Bok, rettore di Harvard: «Ormai il lavoro, a causa dei cambiamenti strutturali, organizzativi e tecnologici è soggetto a variazioni rapide e radicali. Noi possiamo solo insegnarvi a diventare capaci di imparare, perché dovrete reimparare continuamente». Essere “teste ben fatte” e non “teste ben piene”, insomma.   

Dionigi cita inoltre le parole di Piero Calamandrei e cioè che la scuola è il luogo in cui si forma la classe dirigente di un Paese. Perciò è più importante del Parlamento, della Magistratura e della Corte costituzionale. Merita quindi la massima attenzione, la costante cura e il profondo impegno da parte di tutti: uno sforzo di natura etica che determina gesti politici alimentati dalla visione di un orizzonte di riferimento verso cui proiettare la comunità. Se alle Indicazioni di Valditara si aggiungono le tentazioni di applicare anche al sistema dell’istruzione i dettati del progetto di autonomia differenziata, limitandosi a mettere in sequenza le disposizioni del ministro alla decisione del governo di riattivarne il percorso dopo la definizione da parte della Consulta dei limiti proprio per scuola e docenti garantendo uniformità nei diritti, nei programmi e nell’offerta formativa nazionale, ma comunque senza accantonare lo scopo da raggiungere, allora il quadro si fa ancor più inquietante. Tale da suggerire una mobilitazione che ponga l’argomento nelle priorità urgenti.

 Una mobilitazione che non si vede sorgere, e anche questo è un segno dei tempi. 

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