NOTE SPARSE A MARGINE DI UN INTERVENTO DI ZYGMUNT BAUMAN
Le riflessioni contenute in quest’articolo si configurano come una reazione a caldo rispetto alla lettura del saggio Libertà e sicurezza: la storia incompiuta di un’unione tempestosa di Zygmunt Bauman1. All’interno di questo denso contributo, il sociologo e filosofo polacco naturalizzato britannico affronta una delle questioni politiche più significative della Modernità: quella del rapporto sussistente tra il bisogno di sicurezza dei soggetti facenti parte di una certa società e il loro desiderio di libertà; una relazione che, nella percezione del cittadino medio, è stata e viene a tutt’oggi intesa in forma sostanzialmente oppositiva. Per dar corpo al suo studio Bauman prende le mosse da una celebre espressione freudiana formulata ne Il disagio della civiltà, secondo cui l’essere umano, per convivere in una società organizzata, sarebbe costretto a rinunciare ad una parte della propria felicità (la quale equivale, in termini psicanalitici, alla libera espressione pulsionale2): la sicurezza della convivenza ordinata esigerebbe, secondo tale prospettiva, la repressione degli impulsi e questa rinuncia, pur necessaria, produrrebbe una condizione di malessere permanente.
A partire da questo spunto, Bauman mostra come l’intera costruzione moderna della politica si regga proprio sulla tensione irrisolta tra libertà e sicurezza, una dialettica che non è semplicemente teorica, ma che si manifesta nei dispositivi concreti del potere, del diritto e del controllo sociale. Il saggio baumaniano ripercorre così le metamorfosi storiche di questo binomio, evidenziando come la Modernità si presenti sin dall’origine – da Hobbes in poi – come una sorta di grande narrazione della liberazione dai vincoli tradizionali (religiosi, tribali, feudali) ottenuta, però, al prezzo di una nuova vulnerabilità, quella dell’insicurezza. Non è un caso che il Leviatano nasca come garante di una sicurezza assoluta, ottenuta attraverso la rinuncia volontaria del singolo alla libertà naturale. Bauman ricostruisce il consolidarsi di questa logica attraverso le elaborazioni del liberalismo classico: da Mill a Spencer, la libertà viene reinterpretata come diritto individuale da proteggere gelosamente, solo a patto – beninteso – che tale difesa non minacci l’ordine collettivo. In tal senso, la Modernità liberale trasforma l’originaria ambizione di emancipazione del singolo in una gestione razionale del rischio e lo Stato arriva a modificare geneticamente il proprio statuto, trasformandosi da garante della libertà in fornitore istituzionale di sicurezza, la quale – a sua volta – arriva a porsi come lo strumento fondamentale per la legittimazione del potere politico. Ora, se anziché liberare dall’insicurezza, la politica finisce per amministrarla, trasformandola in una merce retorica da offrire in cambio di consenso, si capisce perché nelle società liquidamente ipermoderne in cui viviamo, segnate da un’incertezza generalizzata, la tecnologia del potere tenda a proporsi e a profilarsi come un processo permanente di rassicurazione. La paura sociale e individuale, in questo scenario, non viene eliminata, ma gestita e riprodotta, perché alimenta il bisogno di protezione e quindi rafforza la dipendenza dal potere politico. La politica della sicurezza manifesta allora il suo vero volto, palesandosi come politica della paura dove la costruzione del nemico (reale o simbolico), il controllo sociale e la limitazione dei diritti diventano pratiche giustificate dalla promessa (mai del tutto mantenuta peraltro) di protezione.
«La sicurezza – scrive lo stesso Bauman in un’intervista del 2004 – è l’argomento con cui si giustificano le limitazioni più radicali alla libertà. È un ideale a cui nessuno osa opporsi, proprio perché resta sempre irraggiungibile. Non importa quanto si è già fatto in nome della sicurezza: si potrà sempre fare di più. In tal modo, la libertà viene compressa a poco a poco, senza che mai venga dichiarata apertamente la sua fine. È questo il meccanismo più insidioso del potere nell’epoca della paura»3.
È in questo quadro che Bauman propone una lettura critica della figura moderna e, soprattutto, contemporanea della sicurezza: essa non è un fine neutro, ma si rivela come una categoria ambivalente, che può tanto proteggere quanto opprimere; diventa un campo di negoziazione politica permanente, e il compito della cittadinanza attiva non è, dunque, quello di inseguire una sicurezza assoluta (illusoria), ma di vigilare sul suo uso e sulle sue implicazioni normative.
Giunti a questo segno – guardando alla società in cui ci troviamo a muoverci – ci si può chiedere: è davvero ineludibile l’antagonismo tra libertà e sicurezza? Siamo realmente condannati a scegliere tra l’una e l’altra, in una dialettica priva di sintesi, o è possibile, almeno in linea teorica, ripensare il loro rapporto in termini non oppositivi? Ritengo che l’attuale contesto politico abbia la possibilità (e si trovi, peraltro, nella necessità) di abbracciare quest’ultima opzione a patto di ripensarsi ab ovo e di rileggere il binomio libertà/sicurezza non più come coppia ossimorica o antitetica, ma come relazione costitutiva e costruttiva. Credo – per dirla altrimenti – che una democrazia matura non debba sacrificare la libertà in nome della sicurezza, ma sia chiamata a costruire forme di sicurezza che rendano possibile la vera libertà, e viceversa: solo cittadini realmente liberi, consapevoli e partecipi possono contribuire a una sicurezza condivisa, non imposta dall’alto. È lo stesso Bauman, del resto, a lasciar intravedere questa esigenza quando osserva nell’intervista precedentemente richiamata:
«La libertà e la sicurezza sono entrambe essenziali: eppure ognuna può diventare una minaccia mortale per l’altra, se non viene sorretta da giustizia, responsabilità e solidarietà. È il compito della politica democratica mantenere questo equilibrio instabile, evitando che il bisogno di sicurezza diventi una scusa per l’autoritarismo, e che l’invocazione della libertà si trasformi in pretesa di impunità. Nessuna delle due può sopravvivere a lungo senza l’altra, ma soprattutto nessuna può reggersi senza una cornice etica condivisa»4.
Questa prospettiva impone al nostro scenario politico un deciso cambiamento di paradigma: non basta più gestire la tensione tra libertà e sicurezza come un eterno compromesso da bilanciare; occorre piuttosto fondare il discorso politico non sulla paura del pericolo, ma sulla giustizia, sul bene, sulla verità e sulla responsabilità verso l’altro. E qui si apre un ulteriore orizzonte di luce che si potrebbe definire post-securitario: ciò che fonda una società giusta non è il primato della protezione, ma il riconoscimento della vulnerabilità umana come dato originario e l’impegno a prendersene cura. Un pensiero capace di ispirarci, in tal senso, può esserci consegnato da Joseph Ratzinger che, in un intervento coevo a quello di Bauman precedentemente citato, afferma:
«La libertà non è libertà di fare qualsiasi cosa: è libertà per il bene, nel quale solo risiede la felicità. Il bene è, quindi, il suo scopo. Di conseguenza, l’uomo diventa libero nella misura in cui accede alla conoscenza del vero, e questa conoscenza – e non altre forze quali che siano – guida la sua volontà. La liberazione in vista della conoscenza della verità, che sola diriga la volontà, è condizione necessaria per una libertà degna di questo nome»5.
Mi pare che, letta in quest’ottica, la sicurezza possa venir letta più che come il contenimento del rischio, come la condizione etica e relazionale fondamentale del vivere insieme e come il collante per la costruzione di legami di fiducia e di giustizia. Si tratta, in definitiva, di spostare l’asse della nostra riflessione politica e di camminare non più sull’equilibrio instabile tra due diritti in conflitto, ma sul terreno del bene che, solo, può rendere autentiche sia la libertà che la sicurezza.
NOTE
- Cfr. Z. Bauman, Libertà e sicurezza: la storia incompiuta di un’unione tempestosa, in La società individualizzata, Il Mulino, Bologna 2002.
- Cfr. S. Freud, Il disagio della civiltà, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1967-1993, vol. X, p. 602.
- Z. Bauman, Sicurezza e libertà, in MicroMega, n. 4, 2004, p. 9.
- Ibidem.
- J. Ratzinger, Senso e valore della libertà. In Che cos’è la libertà? È il diritto umano fondante del nostro tempo? in Humanitas, n. 2, 2004, pp. 256–257.
Liberta e sicurezza, un binomio stpricamente alternativo, ma che in una ottica contemporanea potrebbe convivere. Anzi dovrebbe, nella misura in cui ogni essere umano aspira alla liberta, ma in sicurezza, non insidiato ne’ limitato dall’homo homini lupus!
Una condizione, quella umana, di dasein gettato nel mondo ma capace di riscattarsi e riscattare il mondo dalla miseria da cui appare circondato! Questo il bello dell’essere umano, gettato nel mondo ma capace di un riscatto! Che lo rende pienamente umano….