Perché la conoscenza o è resistenza o è complicità.
E, come scriveva Paul Nizan:
«Non rimane più alcuno spazio per l’imparzialità dei chierici.
C’è solo più spazio per battaglie di partigiani […].
Più nessuno da ingannare. Più nessuno da sedurre.
Soltanto colpi da ricevere e colpi da dare».
Alessandro Picone
La macchina dell’insicurezza funziona a pieno regime. I suoi meccanismi sono efficacissimi nella loro banalità. Il vero scopo è il disciplinamento delle differenze e il controllo di ogni emergere di segnali conflittuali con l’oppressivo ordine costituito. Sia una lettura psicologica che psicoanalitica di quello che accade può aiutare a comprendere qualcosa di più delle forme di destabilizzazione che la macchina dell’insicurezza produce. Sembra sempre più importante allargare l’orizzonte della psicopatologia individuale al sociale, non procedendo solo dall’individuale al sociale, ma dal sociale all’individuale. Partoriti dalle formae mentis di chi governa, i meccanismi per provocare senso di insicurezza mostrano una particolare efficacia nell’essere riconosciuti e legittimati, e nel rappresentarle, dalle menti collettive, di cui l’unica cosa che riesco a fare è vergognarmi. Mi vergogno, infatti, di essere comunque parte di una comunità di persone che banalizzano sé stesse seguendo la banalità volgare di chi le guida e a cui volentieri e con entusiasmo si consegnano. Quando dei ciarlatani fanno i ministri e giocano con le istituzioni e con le libertà, con i diritti e con la giustizia sociale, alla stessa maniera con cui giocano a carte nei bar e nelle cantine, il problema da comprendere è come possano essere ritenuti non solo credibili ma anche seguiti incondizionatamente. Quando comanda la paura, vince chi la semina. Quando la seconda carica di uno Stato democratico invita a non votare, siamo alla violazione del valore supremo delle istituzioni dal loro interno. I balbettii delle opposizioni ai governi populisti e totalitari che imperversano nel maggior numero di paesi al mondo sono la cartina di tornasole della crisi della libertà in atto. Lo stesso vale per il partito democratico negli Stati Uniti, del tutto incapace di affrontare la deriva antidemocratica e violenta dell’attuale presidente e della parte del paese che egli rappresenta. Basterebbe quello che è accaduto in California nella prima parte del mese di giugno. Il vero obiettivo della violazione delle leggi e delle forme esasperatamente repressive del presidente americano non era solo colpire i criminali veri e propri, ma generare una deterrenza di massa, facendo sentire ogni immigrato a rischio di deportazione. I blitz hanno coinvolto pattuglie selezionate con tattiche militari, senza mandati ben visibili e con il pretesto di “indagine su reati”. Tuttavia, hanno colpito in larga parte lavoratori arabi, latini o asiatici privi di precedenti penali o di accuse concrete. Mentre Stati come la California e città come Los Angeles e San Francisco fungono da “città santuario”: leggi come la SB 54 vietano l’uso di risorse locali per supportare le operazioni federali in materia di immigrazione, le retate hanno infranto questo principio, sfidando apertamente la sovranità statale e locale. L’uso delle categorie psicopatologiche riguarda in particolare un punto, lo stesso che interviene di fronte ai comportamenti individuali e collettivi di fronte alla crisi climatica e ambientale. Così come in quel caso l’indicatore psicopatologico individuale e collettivo riguarda la domanda: come e perché la specie distrugge senza sosta le risorse che sono condizione per la propria stessa vita? Nel caso della macchina dell’insicurezza e della paura la domanda è: come e perché sosteniamo politicamente le forze che distruggono la convivenza possibile e la democrazia, quindi la nostra principale fonte di sicurezza, predicando l’insicurezza e la paura? Su queste domande si avvita la nostra condizione umana e sociale; da questi circuiti perversi in cui siamo intrappolati non riusciamo ad uscire, anche a fronte delle provocatorie risate demenziali di godimento di chi ricava consenso da quelle che egli stesso chiama “porcate”. Come mai accade tutto questo, che tra le altre cose si propone come una violazione della razionalità o una prova della sua crisi, come aveva intuito e anticipato Jurgen Habermas in tempi in cui tutto stava cominciando? [J. Habermas, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Laterza, Roma-Bari 1975]. Ogni società si regge su principi regolatori che tengono insieme il suo tessuto e che cambiano nel tempo. Se chiamiamo vertici o assunti quei principi, la condizione in cui versano le nostre società iperliberiste e individualiste nell’era del capitalismo digitale può essere ricondotta ad un assunto di base che possiamo definire dell’horror vacui. La crisi di legame sociale produce solitudine e ognuna e ognuno siamo lasciati e ci sentiamo più soli. Nella lingua inglese esistono due termini che traducono il vocabolo italiano “solitudine”: loneliness è la solitudine intesa come emozione soggettiva e descrive un sentimento di tristezza o abbandono. Aloneness è uno stato dell’essere, la condizione dell’essere soli. Nel nostro tempo non siamo di fronte a quella che Donald Winnicott chiama “solitudine essenziale”, ma per molti aspetti al suo contrario, cioè nella loneliness. La “solitudine essenziale” di Winnicott riguarda l’inesauribile fonte di vissuti che a partire dalla fase prenatale riverberano su tutti i passaggi della vita determinando le capacità e le possibilità di spingersi nel mondo alla ricerca delle esperienze che caratterizzeranno l’intero percorso esistenziale. È piuttosto il vissuto di abbandono, di precarietà, di elevata esposizione, che connota la nostra condizione esistenziale nell’era dell’insicurezza e della paura programmate. Il vuoto esistenziale è insopportabile, in senso letterale. La tensione e la ricerca di una sua sopportazione possibile incontra l’inarrestabile proposta di sollecitazioni alla performance e al consumo, trasformando sistematicamente, ad ogni livello, e soprattutto mediante la vita sugli schermi, il vuoto in pieno, fino alla soglia mai raggiungibile della saturazione. La funzione di vertice o principio regolatore dell’horror vacui così si compie in ragione della permanente sollecitazione che rende mai soddisfacibile le aspettative costantemente alimentate. La condizione di insicurezza si combina con quella dell’alienazione del desiderio e allora il gioco è fatto: da quel momento in poi ci disponiamo alla ricerca di compensazione e rassicurazione e chi ce le offre viene scelto, indipendentemente dall’attendibilità delle promesse; anzi proprio perché quelle promesse sono irrealizzabili e come tali hanno una irrazionale e magnetica attrazione. Siamo finalmente sicuri da morire nell’horror pleni del totalitarismo populista.