Nessuno di noi è in grado di dire come andrà con il vaccino anti-Covid_19, ma fin da ora si registrano posizioni molto articolate, che vanno dall’attesa di vaccinarsi prima possibile fino alla negazione della disponibilità a farlo. Una negazione simile a quella che parti così ampie di popolazione mondiale, in particolare negli Stati Uniti d’America, ma anche in Italia, esprimono verso la stessa esistenza del virus. La negazione, del resto, è un modo di comportarsi molto diffuso nel nostro tempo e non è facile comprenderne la natura. Chi ne ha dato una prima formulazione importante è stato Sigmund Freud, con la sua analisi del diniego. In base a quella prospettiva di analisi la negazione è un meccanismo di difesa, spesso molto potente, che agisce in diverse forme, e tende a misconoscere evidenze e dati di fatto, cercando rassicurazioni in spiegazioni difensive delle proprie posizioni. La non adesione di massa alle raccomandazioni mediche, ad esempio, è una negazione individuale rafforzata collettivamente. Si esprime come negazione accalorata dei dati di fatto, come mostrano A. Ratner e N. Gandhi in un articolo apparso in questi giorni su Lancet. Del resto, le cose non vanno diversamente per quanto riguarda il cambiamento climatico. Rassicurandosi negando le evidenze, pur di conservare l’ordine precedente, è l’atteggiamento più diffuso. La negazione si accompagna quasi sempre al rifiuto di negoziazione. Anche questa dinamica si può facilmente comprendere, in quanto chi nega è nella posizione di dover difendere la propria posizione mantenendola lontana dal dubbio. Non può perciò permettersi di aprire ad approfondimenti che potrebbero pregiudicare la certezza che negando si è creata. Dietro la negazione, infatti, c’è quasi sempre la paura. E la paura, si sa, è in grado di suscitare posizioni difensive come poche altre emozioni. L’irrazionalità ne risulta sollecitata e la negazione svolge la funzione di non sentirsi abbandonati, rifugiandosi in una certezza difensiva. Al centro del problema vi è uno scarto, quello tra intenzione e azione, cioè fra due stati d’animo. Se nel momento acuto di un problema la disposizione a considerare come affrontarlo, avvalendosi della scienza, può essere più elevata, accade che subito dopo quella disposizione cali fino a sfumare in rifiuto o negazione. Il conflitto interno fra due stati mentali, o fra uno stato mentale e una decisione, vede spesso prevalere la negazione. A stimolare la negazione e le resistenze, sono posizione contrarie basate sulla tendenza illiberale a credere di sapere quale sia il bene altrui, imponendo comportamenti dal centro e dall’alto. Possono esservi modi più appropriati per trattare la negazione, come le pratiche psicoterapeutiche o psicoanalitiche, e sul piano collettivo azioni basate sul principio di “spinta gentile”, secondo le indicazioni di Richiard Thaler e Cass Sunstein. In questo caso la via è quella di accompagnare la disposizione a cambiare con azioni di supporto e accompagnamento che avvicinano allo scopo e rendono agevole il cambiamento, inducendo ad azioni che non verrebbero fatte spontaneamente. Spinte gentili che fanno il bene delle persone a loro insaputa, in quanto una catena di micro-scelte soddisfacenti producono un risultato vantaggioso. Non si cancella la negazione, ma si rende più agevole e generativa la sua elaborazione possibile.