Istituzioni per vivere

Autore

Emanuela Fellin
Emanuela Fellin, pedagogista clinica, svolge la sua attività professionale, di studio, ricerca e consulenza per lo sviluppo individuale, sia con l’infanzia e l’adolescenza, che con gli adulti. Si occupa di interventi con i gruppi e le organizzazioni per la formazione e lo sviluppo dell’apprendimento e della motivazione. L’impegno di studio e applicazione è rivolto agli interventi nei contesti critici dell’educazione contemporanea, sia istituzionali che scolastici. Le tematiche principali di interesse vertono sui concetti di vivibilità, ambiente, cura e apprendimento. I metodi utilizzati sono quelli propri della ricerca-intervento e della consulenza al ruolo per lo sviluppo individuale e il sostegno alle dinamiche dei gruppi e delle organizzazioni.

Le istituzioni ci contengono e ci costringono e questa è la loro principale caratteristica. Le creiamo per cercare di far fronte alle ansie di solitudine, di abbandono, di persecuzione. Nel momento in cui le abitiamo ne sentiamo tutta la costrittività, emergono i vincoli e avvertiamo una sottile o profonda ansia depressiva. La qualità della vita all’interno delle istituzioni dipende, per ognuno di noi, dal modo in cui elaboriamo questi sentimenti e dalle vie che troviamo per fare i conti con queste esperienze. A pensarci bene, quindi, le istituzioni sono una necessità e allo stesso tempo un vincolo per la nostra libertà d’azione. Il costo che paghiamo in termini di autonomia, è compensato dai vantaggi che ci derivano dalla dipendenza dalle diverse istituzioni con cui facciamo i conti nell’arco della nostra vita. abbiamo impiegato molto tempo a creare le diverse istituzioni che, mentre contengono il nostro arbitrio e lo limitano, ci concedono le possibilità della cooperazione e della rassicurazione. Accade però che spesso ci consegniamo principalmente alle componenti rassicuranti, usando le istituzioni o per difenderci da quanto esse ci chiedono come condizione per l’appartenenza, o addirittura per scopi che deviano dalla ragione stessa per cui quelle istituzioni sono state create. Sono questi, tra gli altri, i motivi alla base della profonda ed estesa crisi istituzionale che viviamo in questo tempo. Molto spesso le istituzioni mostrano di non tenere conto, o addirittura di rimuovere, quello che in sintesi si può definire il loro compito primario. Quest’ultimo ha a che fare con l’interiorizzazione degli obiettivi istituzionali, delle ragioni per cui l’istituzione esiste e, quando funziona, orienta e guida le azioni individuali e le scelte quotidiane e strategiche. Chi vive e lavora in un’istituzione può, perciò, interagire con gli altri per cooperare, o al contrario per perseguire scopi diversi dagli obiettivi istituzionali, che possono essere anche devianti o opposti alla salute dell’istituzione e alla qualità della vita al suo interno. La cooperazione insomma non è scontata e ha che fare soprattutto con la capacità relazionale di abitare ed elaborare in maniera efficace le differenze e i conflitti, intesi come confronto tra differenze, che emergono in ogni istituzione e ne costituiscono in buona misura la linfa vitale. Arthur Schopenhauer ha prodotto una delle metafore più emblematiche della vita organizzativa e del valore di un’istituzione. Nel momento in cui parlando dei ricci e del loro letargo, ha messo in evidenza come nel periodo invernale quegli animali facciano i conti con l’esigenza di elaborare una questione vitale per loro: siccome morirebbero assiderati se andassero in letargo da soli, hanno bisogno di farlo in compagnia e di avvicinarsi l’uno all’altro in modo da sfruttare il calore reciproco. Stante la loro conformazione fisica devono scegliere con molta attenzione quanto avvicinarsi per scopi termici e fino a che punto limitarsi nel farlo per non pungersi. Non c’è molta differenza, anzi forse non ce n’è nessuna, con la nostra disposizione relazionale all’interno della vita istituzionale. Quando riusciamo a stabilire delle relazioni sufficientemente buone orientate principalmente al compito primario, le istituzioni mostrano di vivere efficacemente e di contenere le nostre ansie. Quando ciò non accade, per i diversi motivi per cui mostra di non accadere, l’individualismo, l’utilizzo degli altri per scopi strumentali, l’esercizio del potere come dominio, l’uso difensivo delle istituzioni per scopi anche deviati, fanno prevalere gli aspetti distruttivi su quelli cooperativi. In tutti questi casi l’istituzione smette di essere un contenitore buono per chi ci vive e ci lavora e diventa fonte di angoscie secondarie, fino a giungere a forme di invivibilità interna. Da quel momento in poi, se non riesce a convertire il trend, l’istituzione diviene incapace di generare cambiamento e innovazione, mostra di non accettare più la critica costruttiva e le posizioni differenti e pratica quella che il premio Nobel per l’economia Kennet Arrow chiama selezione avversa. Selezionare in italiano significa almeno due cose: scegliere o scartare. Un’istituzione con chiari segni di crisi tenderà a scartare le risorse migliori che sarebbero capaci di favorirne il cambiamento e l’evoluzione efficace nel tempo, in quanto le ritiene incompatibili con quello che è diventato lo scopo effettivo dell’istituzione: non il compito primario per cui era nata e dovrebbe esistere ma la difesa delle posizioni consolidate per le quali l’istituzione finisce di fatto per essere utilizzata. Sono molti gli ambiti e i settori, pubblici e privati, che nel nostro paese sperimentano forme di crisi istituzionale. Dal modo in cui saremo capaci di affrontare quelle crisi e di elaborarne le implicazioni in senso generativo e costruttivo, dipende la qualità stessa della nostra vita individuale e collettiva.

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