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La tua mano è intangibile

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Eravamo al telefono
in due posti distinti
le nostre mani lontane,
immaginarie,
invisibili.
Piangevo, gridavo
battevo i piedi sul pavimento sperando
che almeno con una comunicazione non verbale
capissi ciò che mi porto dentro.
«C’è molto altro rispetto a questo!
Ci possiamo provare,
non dobbiamo mollare,
qualcosa c’è sempre da fare».
Continuavo a dirtelo
fino a non aver più fiato,
fino a spezzarmi il respiro
con il muco che mi arrivava sino alla bocca.
«Ti voglio un mondo di bene
null’altro si può fare
questa è la soluzione
non mi devi incolpare
io qualcosa l’ho sempre provato a fare».
Bugie, erano tutte delle sporche bugie 
quelle che dicevi
cercavi di addolcire
un petto traforato e insanguinato
da tu stesso!
Fingevi di curare delle ferite
che tu mi avevi inflitto!
La mia testa era una giostra
con gli occhi infuocati
e dentro avevo un vulcano in procinto di esplodere:
«C’è sicuramente qualcos’altro che si può fare»
ti urlavo, 
mentre mi accasciavo a terra
col telefono in viva voce,
con le mani tra i capelli,
strozzandomi grazie alle mie urla.
Hai cambiato argomento
e subito dopo hai riattaccato, 
sei sparito,
ti sei ritirato nel tuo posto distinto,
hai reso totalmente invisibile la tua mano
e mi hai lasciata da sola,
cullata dal frigido che sentivo provenire dalle piastrelle.
Mi hai inflitto un’altra coltellata,
mi hai uccisa per metà
sussurrandomi:
«Chiamami quando stai così».
Sono rimasta accasciata a terra
e per un tempo indefinito
non ho mosso un dito,
mi è venuto anche un crampo al piede
ma non mi sono mossa
bensì ho sofferto,
come ormai mi angustio da anni
sempre a causa tua.
Ho preso poi a correre
cercando dappertutto,
anche nei posti più bui,
la tua mano.
«Io ci voglio provare
mi posso anche sacrificare»,
ti urlavo, con la speranza che mi sentissi
«Io non ce la faccio, non ce la posso fare»
gridavo ancora, trafiggendomi la pelle con le unghie
e avevo anche di nuovo iniziato a piangere.
Con le dita dei piedi doloranti,
il fiato in gola
e il vomito che sentivo arrivarmi in bocca
continuavo a cercarti,
ti ho teso la mano
e sono rimasta ferma immobile
pallida, cerea, seria
aspettando la tua scelta,
aspettando che mi considerassi
che mi pensassi.
Avrei potuto invecchiare
rimanendo ferma così,
eppure mi chiedevo
chi mai mi sarebbe venuto a cercare
e se, qualcuno sarebbe venuto a cercarmi
solo che con tutti questi pensieri
il mondo attorno si è fatto meno stabile
offuscabile, impalpabile.

Tutto ad un tratto
ho aperto gli occhi
ed ero nel mio letto, 
sudata, trasandata
con i capelli arruffati,
i ciuffi disordinati
e i peluche a terra.
Solo dopo essermi strofinata gli occhi per bene
mi ero resa conto di non aver corso
per davvero,
di non averti urlato sul serio
anche se le gambe le sentivo indolenzite,
la testa pesante
e il cuore pulsante;
mi ero coperta il viso con le mani
per riprendere a piangere
ma le mie lacrime scendevano, 
senza avere un muro davanti
mi sono poi spaventata
e resa conto
di non aver più le mani,
mi sono guardata intorno,
le sentivo ma non c’erano.
Erano invisibili;
come il tuo aiuto,
come il tuo rifiuto 
di unire le forze,
di provare a lottare,
di cercare di fare la cosa giusta.
Non possiedo più le mani,
ho la continua speranza
che un domani tutto sarà cambiato,
mi hai prosciugato,
mi hai mangiato gli organi,
hai reso invisibili i miei poli
che tu continuavi a rifiutare.
Ora sono stesa nel letto
a crogiolarmi nel mio dolore,
mi alzo solo per un attimo,
al fine di tenderti la mano
per l’ultima volta
ma sento una specie di forza dentro
e inizio a non veder più neanche le mie dita
poi l’avanbraccio, il braccio…
L’invisibilità si inizia ad estendere
mi travolge coma una malattia contagiosa
anche il petto, le gambe, i piedi
cosa dovrei fare?
Arriva al torso, al tronco
al naso, al collo, al viso
ed io grido;
ma non mi rispondi,
non mi ascolti,
non mi soccorri.

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