L’ambiguità del volontariato

Autore

Silvia Bortolotti
Silvia Bortolotti è un’igienista dentale laureata in Igiene Dentale presso l’Università degli Studi di Milano, con due master di primo livello conseguiti successivamente. Attivamente coinvolta nella ricerca e nella formazione continua, è relatrice a congressi e docente del corso “Vincere la Carie” del Dr. Sammarco, oltre ad essere coautrice del libro “Cariologia Clinica”. Appassionata di viaggi e affascinata dalle diverse culture, ha unito la sua passione con le sue competenze professionali partecipando ad un progetto di volontariato odontoiatrico in Tanzania. Ha creato il profilo Instagram “Il Training del Sorriso” dove condivide consigli per mantenere un sorriso sano e rendere la routine di igiene orale più divertente.

Quando si parte per un progetto di volontariato sanitario, lo si fa con l’intenzione chiara di portare competenze, strumenti e supporto dove ce n’è più bisogno. 

E’ una scelta professionale, ma anche profondamente umana.

Anch’io, come igienista dentale, sono partita con questo obiettivo: prendermi cura della salute orale dei bambini in Tanzania, molti dei quali orfani o senza accesso a cure regolari.

Potrebbe sembrare che, in contesti dove mancano anche i beni primari, il lavoro dell’igienista dentale sia superfluo, ma è proprio lì che educare un bambino a lavarsi i denti e limitare gli zuccheri diventa un gesto potente. 

Significa proteggerlo dalla malattia della carie e dalle malattie gengivali, patologie sottovalutate ma dalle conseguenze importanti sulla salute generale, e dargli la possibilità di crescere sano in un luogo in cui spesso l’accesso alle cure non esiste. Perché i bambini di oggi sono gli adulti di domani, e meritano tutti un futuro con il sorriso. 

La mia esperienza di volontariato si è svolta ad Arusha, una città situata nel nord della Tanzania; sono partita insieme ad una collega, con la quale ho condiviso ogni momento di questa esperienza.

Le nostre giornate si dividevano tra l’orfanotrofio, la clinica dentale dell’ospedale di Nkoaranga, e le scuole.

All’orfanotrofio, le maestre si alternano giorno e notte tra venticinque bambini, dai due mesi ai quattro anni. In un luogo così ogni mano è preziosa: cullare, nutrire, lavare, vestire, coccolare, rassicurare…ogni gesto è fondamentale.

E’ li che ho capito quanto l’affetto conti più di qualsiasi giocattolo: nessun oggetto può colmare il vuoto di un abbraccio.

Me ne sono resa conto appena varcata la soglia, i bambini ci sono corsi incontro cercando solo il calore di un contatto umano, e nonostante tutto, non ho mai visto cosi tanta serenità come nei volti di quei bimbi, sorridenti e grati per ogni piccolo gesto.

Nella clinica dentale le nostre mattinate scorrevano insieme ad un giovane odontoiatra, alternandoci nel lavoro clinico con l’intento di fare del nostro meglio per i pazienti che ogni giorno attendevano con pazienza il loro turno sulla panchina all’ingresso.

La loro tranquillità ci ha fatto riflettere su quanto la nostra vita, spesso frenetica e caotica, sia lontana da quella serenità.

E’ proprio li che abbiamo incontrato e fatto nostro il concetto di “pole pole” un’espressione swahili che significa “piano piano”, come a ricordarci che a volte una sola volta non basta per rallentare davvero.

Abbiamo imparato qualche parola in swahili per comunicare con i pazienti, ma ci siamo accorte che spesso le parole sono superflue : un sorriso, uno sguardo grato, bastavano a costruire ponti.

In quel luogo lontano abbiamo riscoperto la forza di un linguaggio universale che il mondo intero dovrebbe imparare a parlare: quello della gentilezza e della lentezza dell’anima.

Insieme all’odontoiatra abbiamo girato anche le scuole dei villaggi vicini, addentrandoci in paesaggi meravigliosi: scuole immerse nel verde, all’ombra dei banani, raggiungibili solo attraverso sentieri che per noi sarebbero impraticabili con un veicolo normale, ma che ogni bambino percorre a piedi, sotto il sole o la pioggia, pur di continuare i propri studi. Perché studiare è un diritto, ma in certi angoli del mondo resta ancora un privilegio. 

L’accoglienza di presidi e insegnanti è stata commovente: hanno subito abbracciato il nostro progetto, accogliendoci con entusiasmo mentre portavamo in classe le nozioni fondamentali di igiene orale e alimentazione sana. Seguivano con attenzione insieme agli alunni le nostre lezioni, che il collega traduceva per noi dall’inglese allo swahili.

Siamo rimaste piacevolmente colpite dall’educazione dei bambini, dal  loro rispetto, dalla cura con cui ascoltavano ogni nostra parola, dalla gratitudine nel ricevere uno spazzolino o un dentifricio.

Abbiamo ricevuto tante domande curiose e attente, ma ciò che ci ha emozionato di più sono state le parole di un preside di scuola secondaria: ci ha spiegato che la loro cultura sia fonda sull’importanza del prendersi cura gli uni degli altri, indipendentemente dalle differenze, perché si considerano tutti parte di una grande famiglia.

La parte più importante del nostro lavoro è proprio questa: istruire e motivare. Essere igienista dentale significa unire testa, mani e cuore: conoscenza per guidare, abilità per agire, sensibilità per prendersi cura.

In queste giornate di volontariato abbiamo ritrovato l’essenza della nostra missione come professioniste sanitarie.

Il volontariato è intrinsecamente ambiguo: si parte con il desiderio di aiutare gli altri, ma spesso si scopre di averlo fatto, e forse soprattutto, per aiutare se stessi.

Questa ambiguità non è un limite, ma una rivelazione: nell’intenzione altruistica si nasconde un bisogno personale, quello di dare senso al proprio agire, di sentirsi parte di qualcosa di più grande.

Sono partita con una valigia carica di spazzolini e dentifrici, con l’intenzione di insegnare qualcosa, e sono rientrata con un bagaglio di esperienze e insegnamenti molto più grande di quanto avessi immaginato, scoprendo le vere priorità e i valori più importanti della vita.

Nel volontariato odontoiatrico si parte per dare, ma spesso si scopre che il vero impatto è quello che si riceve.

Come igienista dentale, sono partita per salvare sorrisi, ma sono stati i sorrisi di quei bambini a trasformare il mio, perché il benessere che volevo portare si è riflesso su di me.

Asante sana, Tanzania.

Articolo precedenteIo è un altro
Articolo successivoNon ti capisci

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Ultimi articoli

Elogio all’ambiguità

“Non c’è un sì a cui non sia appiccicato un no. Puoi far ciò che vuoi, troverai sempre venti bellissimo idee pro,...

Il doppio e il suo annullamento

Se vado a teatro, si spengono le luci, c'è buio e  mi capita di commuovermi, di perdermi: divento la storia, entro nella storia. Lo stesso...

Dialogo tra Eloisa Morra e Lavinia Mainardi

“…Capii quale esperienza è possedere, a differenza dell’uomo, un corpo da animale da muta, un corpo che cresce e cala come quello della luna...

Non ti capisci

Prima dici che mi ami e poi sparisci, non te la senti non apprezzi mi fai perdere i pezzi e costruire un mondo. Mi fai cavalcare l’onda...

L’ambiguità del volontariato

Quando si parte per un progetto di volontariato sanitario, lo si fa con l’intenzione chiara di portare competenze, strumenti e supporto dove...