Crisi delle istituzioni e leve per cambiare

Autore

Cesare Moreno
Cesare Moreno, maestro elementare e presidente dell’associazione Maestri di Strada onlus. È stato tra i fondatori del progetto Chance (1998- 2009) per il recupero dei dispersi della scuola, e dell’associazione Maestri di strada che presiede dal 2006. Dal 2010 progetta e organizza progetti territoriali complessi – in contesti di emarginazione – per la promozione della cittadinanza giovanile attraverso l’educazione.

È ormai convinzione comune e diffusa che la pandemia ha funzionato come rivelatore delle crisi di alcuni sistemi istituzionali che c’erano già ma non erano visibili ai più. A mio parere è l’intero stile di vita borghese occidentale che è in crisi. Delle innumerevoli caratteristiche di questo sistema mi interessa qui il modo dell’abitare e delle città.  L’abitare negli appartamenti e nei condomini, organizzare gli spazi urbani in esclusiva funzione della produzione e del  commercio, strutturare la socialità intorno allo svago e a una socialità di intrattenimento, sono elementi della struttura di vita e di pensiero che vanno messi in discussione, perché il contagio virale, di questo virus e di altri passati e futuri, passa per i luoghi della socialità anonima, per i luoghi di concentrazione produttiva, e il “CHIUDETEVI DENTRO” non è più tollerabile per chi ha un bisogno compulsivo di frequentare i luoghi della socialità di intrattenimento.  

Un risvolto importante di questo vivere separati e appartati, dell’assenza di luoghi di socialità vera è la dipendenza patologica dall’autorità. 

Non c’è istituzione in cui il principio gerarchico non abbia fatto grandi danni di fronte al virus perché nessuno ha potere di iniziativa, perché tutti sono in attesa di minuziose istruzioni dall’alto. Oltre alla banalità del male c’è anche la banalità del bene. È ciò che è banalizzato che è un male.  

Siamo in un paese e in una civiltà in cui l’iniziativa dal basso, nonostante le tante retoriche, una continua eco delle voci del potere. Tant’è che, di fronte a un problema che coinvolge profondamente ciascuno, ancora oggi non siamo in grado di decidere e procediamo a ondate dipendendo patologicamente dai DPCM 

Il principale luogo di una socialità riflessiva, produttiva di identità complesse e relazionali, il luogo in cui avvengono scambi tra persone non confinati al cognitivo, al produttivo, all’intrattenimento è la scuola. Finalmente molti se ne stanno rendendo conto ma forse non tutti nel modo profondo in cui sarebbe necessario. La scuola non è un generico luogo di aggregazione – ricordo che la radice di aggregazione è il gregge – un luogo di incontro conviviale e/o vacanziero, è un luogo in cui le persone si confrontano, costruiscono un discorso condiviso, c’è uno scambio intergenerazionale. 

Se così non fosse basterebbe che nel giorno in cui si rientra a scuola si aprissero in ogni scuola dei bar più ampli, confortevoli luoghi di intrattenimento. Anche questo, ma soprattutto sono necessari dispositivi pedagogici che favoriscono la cooperazione, lo scambio di significati, una scena pubblica in cui ci sia lo spazio per la parola dei giovani e per il pensiero  degli insegnanti.  

Dunque se vogliamo fare tesoro di quanto stiamo imparando durante la pandemia ci sono alcune questioni decisive per la scuola. 

  1. Non può insegnare la cittadinanza, la libertà e la partecipazione una istituzione i cui membri non sono liberi, non hanno diritto di parola e spazi di pensiero, sono confinati in uno spazio di dipendenza gerarchica che penetra  nelle menti e nel quotidiano. La scuola deve avere una governance basata sulla conoscenza e sul sapere distribuito e per questo deve essere innanzi tutto sede delle attività riflessive degli adulti, deve essere governata dalla scienza e dal sapere e non dalle gerarchie burocratico-amministrative. In ogni scuola deve essere presente un luogo del pensiero e della riflessione e della partecipazione che come minimo faccia da contraltare alla gerarchia burocratica.  Non è il collegio dei docenti o il consiglio di classe, queste sono istituzioni ancelle del potere burocratico, araldi del dettato del potere anche quando sembrano opporsi. 
  1. Non può essere luogo di autentica socialità e di incontro un luogo in cui non c’è cura per il benessere psicofisico delle giovani persone. L’orario scolastico è patologico, fonte di stress, matrice di una melassa indifferenziata di contenuti frammentari. Il ruolo sedentario del corpo nella scuola promuove uno stile di vita fisicamente prostrato e patogeno, che favorisce psichicamente e fisicamente l’obesità, la sedentarietà, l’ingozzamento. Un patto di salute nella scuola deve mettere al primo posto il benessere psicofisico degli allievi modificando profondamente gli orari, il ruolo del corpo, e la cura dell’alimentazione nello sviluppo delle giovani persone. 
  1. Saperi chiusi e modello trasmissivo di insegnamento sono incatenati a filo doppio. Non è possibile un sapere inteso come ricerca: se il sapere non è aperto, non è possibile una didattica laboratoriale  e cooperativa se non si attiva una interazione forte tra ciò che si svolge in aula e fuori dell’aula. Non c’è scuola ed extrascuola, la scuola è dappertutto a patto che siano attivi e ben funzionanti i canali di comunicazione con il mondo reale che è molto più dinamico e complesso di tutte le discipline messe assieme. Il sapere critico non nasce da libro contro libro ma dal confronto fecondo tra libro e mondo reale.

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