Ora non separiamoci!

Autore

Angelo Moretti
laurea in Giurisprudenza alla Federico II ed in Scienze e Tecniche Psicologiche alla Lumsa, master in Progettazione Sociale alla Lumsa. Dal 2001 progettista sociale. Presidente Nazionale dei Gruppi Giovanili di Volontariato vincenziano dal 2002 al 2006; presidente e cofondatore del Centro Servizi al Volontariato della Provincia di Benevento dal 2004 al 2007; coordinatore Caritas Diocesana di Benevento dal 2011 al 2018; Direttore generale del Consorzio "Sale della Terra dal 2016 al 2019. Attualmente Presidente della Rete di Economia Sociale Internazionale Res-Int, della Rete di Economia civile “Sale della Terra” e Referente della Rete dei Piccoli Comuni del Welcome, co-autore del volume “L’Italia che non ti aspetti. Un Manifesto per una rete dei Piccoli Comuni del Welcome“, ed. Città Nuova, 2018. Co-autore e curatore del volume “Ricucire e campanelle. Budget educativi: un metodo innovativo per il dialogo tra scuole, territorio e comunità educante”, Ave editrice, 2019. Co-autore del Manifesto "Per un nuovo welfare. Le proposte della Società civile" e promotore della omonima Rete. 

Ora che gli studenti sono tornati in aula non separiamoci da loro, continuiamo ad “abitare insieme” quegli spazi digitali infiniti in cui la ricerca di senso resta il compito evolutivo più difficile, la sfida di sempre di ogni educatore. 

Non separiamoci tra fisicità e blogosfera, restiamo sul margine, perché è in questo margine, come sempre, la vera frontiera. 

Con lo scemare della terza ondata di contagio ed il rientro in classe di milioni di studenti di ogni età ed ogni regione potremmo avere una sensazione piacevole di “ritrovamento”. Finalmente docenti e studenti tornano a vedersi vis a vis e non dietro uno schermo, finalmente dietro un banco è possibile tornare a parlarsi sottovoce con i compagni, costruire complicità sottobanco, finalmente in aula torna uno sguardo ed un audio che non sono filtrati da nessun sistema informatico ma direttamente fruiti ed agiti dall’interscambio dei sistemi nervosi di chi appartiene in quel preciso momento all’aula stessa, senza differita. 

Tutto vero, ma anche no. 

Nel ritorno in aula c’è un pezzo di mondo che se ne va e dobbiamo stare molto attenti agli effetti di questo scompenso e soprattutto interrogarci se quell’ “altro” mondo è stato vissuto per davvero.  

Usciamo dallo spazio digitale in cui gli adolescenti vivono i tre quarti del loro tempo diurno, secondo le ricerche del gruppo CRC, l’osservatorio sulla attuazione della Carta Onu dei Diritti del fanciullo e dell’adolescente, e torniamo “solo” in presenza, dove non riusciamo a quantificare il tempo vissuto davvero e per intero in quella dimensione.  

Con la DAD (didattica a distanza) la scuola , e quindi la comunità degli adulti, è entrata a pieno titolo in uno “spazio di vita” che probabilmente è più “reale” per gli studenti di quello fisico, reale per l’intensità e l’interezza in cui viene vissuto: la Scuola è entrata nell’interscambio informativo e relazionale che avviene tra studenti,  e anche tra genitori, attraverso l’uso di un medium come un tablet, un Pc o un telefonino. 

Purtroppo, la sensazione che si è avuta da spettatori della comunità scolastica è stata quella di una coazione a ripetere lo schema fisico dentro lo schema digitale. Per molti prof (la maggior parte?), c’è stata una semplice trasposizione del banco in un quadratino dello schermo e la lezione a distanza è stata solo una lezione avvenuta attraverso il quadratino del prof stesso, al posto della cattedra. Non è avvenuto con la giusta frequenza quanto poteva invece accadere: che lo spazio digitale diventasse uno spazio nuovo e strutturalmente cooperativo, di cocostruzione dei saperi del gruppo classe, diverso dallo spazio fisico.  

L’organizzazione dell’aula digitale ha cercato di riprendere i contorni dell’aula fisica e di conservarne l’assetto tradizionale, mentre la DAD poteva essere una straordinaria occasione di immersione consapevole nella “blogosfera”, nel mondo gigantesco delle informazioni presenti nei miliardi di blog e di siti web. Il prof all’interno della blogosfera non amministra il sapere come una “prestazione di risultato”, ma impara ed insegna contemporaneamente a stare dentro la ricerca del sapere come una “prestazione di attività” che non si esaurisce in nessun risultato concreto se non l’abilità della ricerca stessa. Nello spazio digitale convissuto tra prof e alunni poteva accadere che i due fossero entrambi cittadini della blogosfera ma il prof era l’unico con la patente (la tanto agognata patente di Karl Popper per la somministrazione dei media) e conducesse in spazi infiniti il suo gruppo, spazi esplorati non per prendere ma per cercare, saper cercare.  

Dentro lo spazio digitale l’educazione al “mistero” e all’ “ignoranza”, che caratterizzano la rivoluzione della scuola disegnata da Edgar Morin, erano ad un passo dal realizzarsi. La classe ruotava insieme dentro praterie infinite di informazioni e di contenuti e poteva diventare un “gruppo di ricerca” in cui tutti, anche i famosi ultimi, potevano avere un ruolo di scouting. 

Dentro lo spazio digitale anche gli ultimi della classe possono essere consapevoli di essere portatori di saperi nuovi che contribuiscono all’apprendimento cooperativo di un’aula digitale, possono sentirsi cittadini alla pari, come chi da una mano a Wikipedia con il suo piccolo, infimo, contributo, sapendo di partecipare alla costruzione della più grande enciclopedia della storia dell’umanità, come chi commenta sotto a migliaia, milioni, di altri commenti una notizia, perché sente che il suo commento, la sua firma nel mondo, debba essere “stampata” in qualche parte dell’universo.  

Nello spazio digitale c’è un enorme sete di democrazia e dietro un nome c’è sempre una storia di micropartecipazione. Non c’è solo la dicotomia tra i leoni di tastiera guerrafondai ed i costruttori di pace, o tra i dispenser di messaggi commerciali ed i distributori di messaggi formativi, c’è anche un’infinità di soggetti che semplicemente non vogliono essere anonimi nel mondo, che firmano e agiscono anche a costo di farsi un nickname che funzioni come un Mattia Pascal dell’esistenza altra che vivono fuori dagli schermi. Dentro la blogosfera le intelligenze multiple di Howard Gardner diventano orchestra sinfonica e non esecuzioni separate di strumenti musicali: i ragazzi e le ragazze hanno già imparato a vivere l’attenzione scissa, tra una lezione ed una chat, a volte come disinteresse e come ribellione o anomia, mancanza di regole, altre volte come unica modalità appresa per coltivare interesse a quello che sentono e che vedono. Chattare può essere la forma di chi ha bisogno di scrivere mentre ascolta, interagire mentre apprende, alleggerirsi mentre affronta compiti pesanti. 

 L’attenzione selettiva ed unidirezionale è ormai una chimera anche per gli adulti che frequentano le formazioni aziendali e forse più che insegnare agli studenti di fare “una sola cosa per volta” sarebbe meglio imparare ad imparare come dare senso a ciò che si fa, nell’interscambio tra realtà fisica e spazio digitale. Augè ha detto una banalissima verità quando nella scoperta dei nonluoghi ha affermato che “il problema dell’uomo postmoderno non è tanto dare un senso al mondo, quanto dare un senso ad un mondo così ampio”. 

Ora che gli studenti sono tornati in aula non separiamoci da loro, continuiamo ad “abitare insieme” quegli spazi digitali infiniti in cui la ricerca di senso resta il compito evolutivo più difficile, la sfida di sempre di ogni educatore.  

Non separiamoci tra fisicità e blogosfera, restiamo sul margine, perché è in questo margine, come sempre, la vera frontiera. 

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