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Sappiamo di non sapere?

Autore

Carlo Pacher
Carlo Pacher, classe 1995, lavora per la formazione e lo sviluppo delle persone in La Sportiva. Ha conseguito una doppia laurea in Scienze Filosofiche presso gli atenei di Padova e Jena, in Germania, con una tesi dal titolo: "Intersoggettivà, costruzione, limite. Intorno alla riflessione hegeliana sul linguaggio", tema a cui ha lavorato sotto la guida dei Professori Luca Illetterati e Klaus Vieweg. Precedentemente aveva affrontato il tema della conoscenza di sé in Platone per l'elaborato di tesi triennale con il Professor Carlo Scilironi. Nell'estate 2021 ha preso parte al corso executive "Strategie e nuovi modelli di sviluppo sostenibile" presso CUOA Business School. Attivo in più realtà di volontariato sociale a livello locale, musicista per passione.

La soluzione per uscire dall’autoinganno della mente umana osservato nell’effetto Dunning-Kruger è un utilizzo più accorto della mente stessa che non vuole cedere ai propri errori. Cogliere l’opportunità di fare esperienza di genuina ignoranza è una delle uniche vie che abbiamo per accrescere la nostra conoscenza e liberarci dall’illusione dell’incompetenza mascherata da conoscenza, tanto nei confronti di noi stessi quanto a livello intersoggettivo. In tale dialettica fondamentale – riconoscerci ignoranti e studiare – si schiude l’orizzonte di senso dell’essere umano e tutto quanto egli può realizzare in quanto tale

In uno dei suoi usi più essenziali, la mente umana cade spesso in quello che sembra un paradosso.

Provate a pensare ad una ragazza studiosa di grafica che, coltivando la passione per la musica, dedichi alcune ore del proprio tempo libero a cantare in un coro. Accade che all’interno del gruppo di cantanti si comprenda l’utilità di adottare un logo e confezionare una locandina per pubblicizzare l’attività. Offertasi in punta di piedi, la ragazza realizza in pochi giorni una bozza impiegando gli strumenti del suo mestiere e la presenta agli altri chiedendo loro un’opinione e dei suggerimenti di miglioramento, conscia di aver esplorato soltanto una delle idee possibili. Il gruppo, tra i cui componenti non vi sono professionisti o competenti in materia di arti visive, si complimenta, stupito per la qualità del lavoro e concorda l’adozione del logo e il suo utilizzo. A distanza di qualche settimana, un altro ragazzo del coro invia alle stesse persone un disegno eseguito per diletto e ne chiede l’adozione come logo del medesimo coro, accompagnando l’immagine con una sicura spiegazione che indica perché e in che modo la sua idea risulta particolarmente efficace dal punto di vista comunicativo, non facendo peraltro menzione della proposta precedente già concordata.

Perché la ragazza ha fatto fatica a proporre il suo lavoro nonostante la sua bravura in quella specifica attività? Perché, al contempo, il ragazzo si è sentito ugualmente in diritto di avanzare la sua proposta con tanta spavalderia nonostante il suo dilettantismo?

Nel 1999 gli psicologi statunitensi David Dunning e Justin Kruger si sono dedicati all’osservazione di questo effetto psico-sociale, che ha preso il loro nome – Dunning-Kruger Effect –, definendolo come una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti e competenti in un determinato campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità, autovalutandosi a torto esperti in materia, mentre chi è altamente competente tende a sottostimare la propria conoscenza o capacità oggettiva ritenendosi meno competente di quello che in realtà è. Si tratta dunque per entrambi di un errore di (auto)valutazione circa la propria bravura a fare questa o quella cosa, circa la propria conoscenza di questo o quell’argomento: nelle persone con scarse abilità l’errore deriva da un’illusione interna, nelle persone estremamente abili dalla loro errata percezione esterna, concludendo che l’errore di valutazione dell’incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è altamente competente deriva da un equivoco sul conto degli altri.

«Se mi chiedete quale sia la singola caratteristica che renda una persona soggetta a questo autoinganno, io direi che è respirare» (David Dunning).

L’atteggiamento che deriva da questo errore fondamentale in cui incappa la ragione umana è responsabile di costi imponenti sotto diversi punti di vista e trasversalmente a diversi ambiti cruciali per la vita organizzata degli individui sul pianeta. Si pensi ai costi sociali che derivano ad esempio alla politica democratica che oggi amministra la più parte degli Stati occidentali, per la quale lamentiamo la sistematica mancanza di persone competenti, le quali a loro volta, come conseguenza tangibile dell’effetto descritto, drammaticamente non sono più disposte a candidarsi. Assistiamo nel mentre all’avanzare di uno stile che premia la forma comunicativa rispetto ai contenuti, confondendo la corsa al potere con l’esercizio dello stesso, che rimane orfano di figure chiave.  A fianco di questo ragionamento, pensiamo ai danni che derivano ad una organizzazione la cui cultura aziendale è strutturalmente intaccata dall’effetto Dunning-Kruger, dove la persona che mostra sicurezza nell’esibire una competenza minima risulta premiata con ruoli di crescente responsabilità a scapito di un’altra che è invece portatrice di una competenza approfondita associata a una genuina umiltà. Una tale organizzazione è responsabile dell’affermazione masochistica dell’ignoranza, o meglio, di una incompetenza addestrata a qualche nozione tecnica facilmente assimilabile che nasconde in realtà un vuoto di sostanza. A ben vedere, molto del “rumore” osservato da Daniel Kahneman nel suo ultimo lavoro presentato con Oliver Sibony e Cass R. Sunstein può essere per certi versi compreso come un sotto-fenomeno dell’effetto sin qui descritto¹.

Di fronte alla pervasività di questo autoinganno della ragione c’è però una buona notizia: esistono delle strategie per non incappare in questo errore o per farlo in misura minima. È pur sempre razionalmente che comprendiamo questo atteggiamento fallace della mente umana, più precisamente ponendoci dal punto di vista della competenza. Oggi abbiamo a portata di mano – di dita – qualsiasi informazione circa qualsiasi branca dello scibile umano. Davanti a questa facilità di consultazione occorre non fermarsi alla facile illusione di sapere una data cosa avendola letta/vista/consultata in pochi secondi, quanto invece approfondire almeno quanto basta per comprendere che il problema sottostante è più complesso (e sì, lo è sempre). Il punto è, in qualsiasi ambito, saperne abbastanza da comprendere che c’è altro da sapere. In altre parole: sapere di non sapere. È sufficiente questa consapevolezza per non ritenersi più bravi di quel che non si è – ma neanche di meno.

Quali operazioni, nel concreto si possono fare? Risulta strategico per ciascuna forma di organizzazione – aziendale, politica, associativa… – l’attorniarsi di persone estremamente competenti a cui chiedere continuamente feedback sinceri, imponendosi di mettere da parte la permalosità. È così possibile una positiva esperienza di ignoranza, l’unica capace contemporaneamente di dimensionare oggettivamente (leggi: intersoggettivamente) la nostra conoscenza soggettiva e di far nascere sotto forma di domande fondamentali la sete di conoscenza, il piacere della conoscenza stessa; questa è poi da assecondare il più possibile, studiando e acquisendo quante più competenze è possibile.

Scopriamo così il seme autentico di uno degli atteggiamenti certamente migliori di cui un essere umano è capace e che lo caratterizza come tale: la filosofia intesa esattamente come amore per il sapere. Se è vero, infatti, che la storia dell’uomo pensante – la storia della filosofia e del pensiero scientifico – scaturisce tutta e sola dal costante interrogarsi della mente sul senso e la provenienza, applicando il dubbio nei confronti di tutto ciò che pensa di sapere, risulta indispensabile tornare a quel luogo in cui questo straordinario atteggiamento è stato posto alla base di qualsiasi altra conoscenza possibile. Il riferimento è senz’altro la figura di Socrate, riconosciuto dal dio stesso come il più sapiente tra tutti gli uomini in virtù della consapevolezza della sua propria ignoranza, mandato a morte poiché era il solo in grado di riconoscere che: «costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo di sapere; e mi parve insomma che almeno per una piccola cosa io fossi più sapiente di lui, per questa che io, quel che non so, neanche credo di saperlo»².

La soluzione per uscire dall’autoinganno della mente umana osservato nell’effetto Dunning-Kruger è un utilizzo più accorto della mente stessa che non vuole cedere ai propri errori. Cogliere l’opportunità di fare esperienza di genuina ignoranza è una delle uniche vie che abbiamo per accrescere la nostra conoscenza e liberarci dall’illusione dell’incompetenza mascherata da conoscenza, tanto nei confronti di noi stessi quanto a livello intersoggettivo. In tale dialettica fondamentale – riconoscerci ignoranti e studiare – si schiude l’orizzonte di senso dell’essere umano e tutto quanto egli può realizzare in quanto tale.

«Riconoscere che l’uomo è un essere interrogante è riconoscerne, come struttura originaria, il sapere di non sapere. Ma colui che sa di non sapere non può non sperare. Sapere di non sapere e speranza si tengono necessariamente in uno: sapere di non sapere è sperare»³.

¹ D. Kahneman, O. Sibony, C. R. Sunstein, Rumore. Un difetto del ragionamento umano, Milano: UTET, 2021

² Platone, Apologia di Socrate, 21d. Trad. it. Manara Valgimigli

³ C. Scilironi, Del non sapere o della speranza, in Della filosofia o del non sapere, Padova: CLEUP: 2019

Foto di Andrea Fontanari

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