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Frammenti da un discorso biopolitico: da immunitas a communitas

Autore

Generoso Picone
Generoso Picone, Giornalista, Scrittore, autore di pubblicazioni storiche e di analisi sociale, studioso della letteratura italiana contemporanea.

Le istituzioni sono decisive poiché rispondono al bisogno degli uomini di proiettare qualcosa di sé al di là della propria vita e della propria morte. Ricominciando dall’agire nel tessuto e sul tessuto della politica, che nell’emergenza da Covid-19 ha potuto vantare la sua rivincita sull’economia ma che poi nella lotta al virus si è trovata a subordinarsi alle ragioni della scienza. Prima che l’economia torni a dominare, con effetti immaginabili, appare indispensabile che l’azione politica recuperi il suo senso originario e, appresa la lezione, si ponga al suo posto nella catena di comando della stabilità

  1. Michel Foucault, quando inaugura il suo ciclo di lezioni al Collège de France nell’anno accademico 1978-1979, ha pubblicato da qualche mese “La volontà di sapere”. E’ il saggio che si occupa delle modalità in cui si forma il campo di conoscenze definito come sessualità uscito in Francia nel 1978. Il 10 gennaio 1979, cioè il giorno della prima delle 12 conferenze, il filosofo dell’archeologia e dell’analitica del Potere ha individuato il primo elemento concettuale alla base del corso: “Si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte”. Al termine delle sue spettacolari esibizioni accademiche, vere e proprie discese nell’arena parigina affollata da 500 studenti in un’aula che ne potrebbe accogliere 300, Foucault compila l’utilissimo riassunto degli argomenti svolti. Rivela così che “il corso di quest’anno, alla fine, è stato interamente dedicato a ciò che doveva essere soltanto l’introduzione. Il tema in origine stabilito era dunque la “biopolitica”, termine con il quale intendevo far riferimento al modo con cui si è cercato, dal XVIII secolo, di razionalizzare i problemi posti alla pratica governamentale dai fenomeni specifici di un insieme di esseri viventi costituiti in popolazione: salute, igiene, natalità, longevità, razze… E’ noto quale spazio crescente abbiano occupato questi problemi a partire dal XIX secolo e quali poste politiche ed economiche abbiano costituito sino a oggi. La biopolitica nasce così. Dalla riflessione che Michel Foucault propone sulle dinamiche del Potere e dei poteri declinando la sintassi del sorvegliare e punire: la governamentalità di cui si interessa è quella dettata dalla nuova razionalità nell’arte del governo che chiama liberalismo. In questo quadro si colloca la biopolitica: con la sua sostituzione, che per Foucault è anzi un raddoppiamento, “poiché i soggetti del diritto sui quali si esercita la sovranità politica appaiono a loro volta come una popolazione che un governo deve gestire”. E aggiunge: “E’ questo il punto di partenza della linea organizzativa di una “biopolitica”. Non si può non vedere, però, che si tratta solo di una parte di qualcosa di ben più ampio, (rappresentato) da questa nuova ragione di governo. Si tratta, insomma, di studiare il liberalismo come quadro generale della biopolitica”. Il dubbio inquieto che attraversa il ragionamento foucaultiano, di conseguenza, ha uno spessore ontologico. Se la governamentalità non può esercitarsi senza una prassi critica radicale, non ci si può limitare a interrogarsi soltanto sui mezzi migliori per conseguire i suoi effetti, “ma anche sulla possibilità e sulla legittimità stessa del suo progetto di conseguire degli effetti”. Insomma, “il sospetto che si rischia sempre di governare troppo contiene questa domanda: perché mai bisognerebbe governare?”.

2. Oltre quattro decenni dopo, la questione biopolitica è arrivata dominare il dibattito politico, teoretico, civile e tout court pubblico, nell’urgenza di una crisi pandemica mai subìta prima. Ha ragione Roberto Esposito ad avvertire che conviene misurare la distanza da certe radicalizzazioni di Foucault, “per il quale qualunque istituzione è per sua natura reazionaria e consolidata dentro uno spazio completamente chiuso e oppressivo”. Ma appunto la straordinarietà del momento ha trascinato a sé il bagaglio dei problemi allora sollevati e così la questione biopolitica si è piazzata al centro nevralgico dell’età del contagio, quella caratterizzata dal sopraggiungere devastante di un virus. Che non è più e non soltanto tecnologico o informatico: in fondo, il mondo si stava preparando a tanto. No. Tra i fenomeni specifici di un insieme di esseri viventi costituiti in popolazione elencati da Michel Foucault nelle sue lezioni sulla nascita della biopolitica, la priorità assoluta è stata guadagnata dalla salute, investendo prepotentemente l’ambito biologico e medico. E’ successo che il campo del bios ha visto da un lato lo svolgersi di una rincorsa affannata ed emergenziale a quote minime e sufficienti di immunità, di tutela e di salvezza; dall’altro, ha rimandato con forza alla relazione tra vita e politica “nelle sue possibili configurazioni”, come dice Timothy Campbell nelle pagine introduttive al testo di Roberto Esposito su “Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica” del 2008.

3. Era stato soprattutto Giorgio Agamben, specie con “Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita” del 1995, a sottolineare la chiave essenzialmente negativa della biopolitica che conduce all’affermazione dello stato sovrano d’eccezione. Su questa traccia si è sviluppato un dibattito – in realtà non ancora sopito e destinato a non diventarlo a breve – che dai versanti della speculazione teoretica si è presto spostato sul terreno della polemica politica, alimentando dibattiti accesi e manifestazioni di protesta. D’altra parte, Antonio Negri e Michael Hardt in “Impero” del 2001, ne avevano individuato il tratto positivo ancorato alla categoria della moltitudine su cui si sarebbe soffermato in maniera significativa pure Paolo Virno nella sua “Grammatica della moltitudine” del 2014. Pur nel frangente caldo di una pandemia che minaccia semplicemente e tragicamente le esistenze di tutti e dei più fragili in particolare, imponendo l’instaurazione di uno stato di eccezione con provvedimenti straordinari, è lecito sopportare la limitazione delle libertà personali? La priorità assunta dal canone medico-sanitario rispetto a quello politico rischia di minacciare il tessuto della democrazia? Fino a quanto potrà essere tollerato – se può essere tollerato – tutto ciò? Siamo di fronte alla definizione di un nuovo Potere che sorveglia e punisce chi non rispetta i protocolli immunitari?

4. Campbell vede nel pensiero di Roberto Esposito un momento di congiunzione tra le due polarità contrapposte, “una sorta di incrocio semantico” che trova nel concetto di bios il suo punto di intersezione: “Nel senso che Esposito, pur concordando per certi versi con l’analisi negativa del primo, non si astiene dal criticare il deficit di storicità che ne caratterizza il nesso costitutivo con lo stato di eccezione”. Il filosofo napoletano, spostando l’origine moderna della biopolitica tende a smarcarsi dal paradigma di Foucault per collocarla in quelle che Timothy Campbell definisce “le pieghe immunitarie delle categorie di sovranità, di proprietà e di libertà”, come emergono dagli scritti di Hobbes e Locke. Il risultato è la decostruzione critica dell’intreccio immunitario di biologia e politica per delineare una sorta di biopolitica affermativa.

Roberto Esposito ha dedicato estrema cura e particolare attenzione a questi temi, scandendo i suoi sforzi intellettuali nei titoli “Communitas. Origine e destino della comunità” del 1998, “Immunitas. Protezione e negazione della vita” del 2002 e “Bios. Biopolitica e filosofia” del 2004: quasi la trama dialettica di un processo che nella trilogia ha prodotto una solida griglia interpretativa di quanto sarebbe successo con la pandemia da Covid-19. La circostanza di essere ricordato come il filosofo dell’età del contagio e dell’immunizzazione non lo gratifica. “Aver visto e colto il problema più di vent’anni fa non mi trasmette nessuna soddisfazione. – ha affermato – Constato semplicemente il modo in cui la situazione è precipitata”. Però tant’è e non a caso “Immunitas” è stato ripubblicato a poche settimane dall’inizio dell’emergenza per offrire un contributo di analisi meno curvata sulle febbrili argomentazioni dell’attualità. 

Lui ha spiegato: “Il ragionamento è che mentre nella communitas c’è una circolazione del munus, che è la donazione e la cura per gli altri, l’immunità invece chiudeva in un recinto la persona e la proteggeva dall’esterno”. La fase successiva vede il protagonismo del bios, della biopolitica, che “implica anche i virus, perché ha a che fare con i corpi, quello individuale e quella della popolazione, e i nostri corpi e i corpi sociali vengono attraversati da tanti agenti patogeni, non solo di tipo biologico ma anche informatico. Per certi versi persino l’immigrazione è virale, nel senso che si espande sempre più”. In “Termini della politica” si legge che “se l’idea di comunità esprime una perdita, una sottrazione, un’espropriazione; se rimanda non a un pieno, ma a un vuoto e ad un’alterazione, ebbene ciò vuol dire che essa è sentita come un rischio, come una minaccia, per l’identità individuale del soggetto, appunto perché allenta, o rompe, i confini che ne assicurano la stabilità e la stessa sussistenza. Perché espone ciascuno a un contatto, o anche ad un contagio, potenzialmente pericoloso da parte dell’altro”. 

Nei confronti di questa minaccia, che nel mito appare rivestita dall’aura epica del delitto su cui la comunità si fonda e sull’imputazione del capro espiatorio studiata da René Girard, la modernità mette in atto un processo di immunizzazione, “secondo il contrasto paradigmatico tra una communitas e una immunitas: se la prima obbliga gli individui a qualcosa che li spinge oltre se stessi, la seconda ricostituisce la loro identità proteggendoli da una contiguità rischiosa con l’altro da sé”.

5. Roberto Esposito, a proposito del saggio “Immunitas”, sintetizzava: “La tesi del libro è che tutti i corpi degli individui e i corpi sociali hanno bisogno di un sistema immunitario”. E’ ben convinto che immunizzazione non sia una parola neutra, “perché implica decisioni, scelte, ricadute talvolta spiacevoli, L’immunizzazione della società può comportare una serie di restrizioni della libertà”. Ma ribadisce con altrettanta consapevolezza che si è di fronte all’imposizione di uno stato di necessità assolutamente provvisorio, da esercitarsi soltanto dentro precisi limiti di spazio e tempo. Sottraendo, così, da un lato il protocollo e i provvedimenti dal campo avvelenato delle insinuazioni complottistiche tipiche della sbrindellata comunicazione neopopulista e, dall’altro, ribadendo con un principio proprio del lessico medico-sanitario che a lungo andare l’immunità può causare malattie. “Batte contro lo stesso corpo che invece dovrebbe proteggere”.

Quindi? Quindi è indispensabile che, anche e soprattutto nei convulsi tornanti di una fase come questa, ci si industri a definire un nuovo equilibrio nell’architettura – direbbe l’Esposito del suo ultimo saggio “Istituzione” – delle pratiche di governo. “Come ricostruire la nostra società dopo il blocco della pandemia? Le istituzioni saranno decisive poiché rispondono al bisogno degli uomini di proiettare qualcosa di sé al di là della propria vita e della propria morte”, è la sua riflessione. Ricominciando dall’agire nel tessuto e sul tessuto della politica, che nell’emergenza da Covid-19 ha potuto vantare la sua rivincita sull’economia ma che poi nella lotta al virus si è trovata a subordinarsi alle ragioni della scienza. Prima che l’economia torni a dominare, con effetti immaginabili, appare indispensabile che l’azione politica recuperi il suo senso originario e, appresa la lezione, si ponga al suo posto nella catena di comando della stabilità.  

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