Non vedo l’ora di vederci…

Autore

Maria Luisa Bigai
Nata a Nordest, in Friuli, vive a Roma crocevia multietnico del mondo. Viaggia per lavoro e per studio quanto possibile in Italia e all’estero (Roma, Genova, Milano, Palermo, Toronto, New York, Parigi, Norvegia, Cipro, etc). Regista teatrale (Premio Fondi etc) con inclinazione a temi civili, sociali, di genere; e regista di teatro musicale (Mozart, Donizetti, Duni, ma anche Malipiero e altri autori del Novecento). Si occupa di pedagogia nell’ arte e con l’arte in molti ambiti e settori (Ente Teatrale Italiano, ANAD Silvio D' Amico di Roma, Teatro della Pergola di Firenze, Licei e associazioni, Accademia Belle Arti), è docente di ruolo per gli insegnamenti teatrali al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, dove produce molta della sua attuale ricerca. Poesie e saggi brevi in edizioni varie (Scheiwiller, Passigli ed., etc) con riconoscimenti fra i quali Premio Montale per gli inediti, e menzioni speciali al premio Lorenzo Montano di Verona, al premio Poetika di Verbania, al premio Casentino.

La Vista è fra i sensi quello che collochiamo al centro delle nostre possibilità di interrelazione con il reale. 
Da secoli la Vista si individua come porta di idee e sentimenti, in entrata e in uscita, soppiantando via via il senso che, come documentato in vari testi, nell’immaginario greco (il filosofo Gorgia di Lentini) e europeo (drammaturgia di Shakespeare  e Molière) si evidenzia come porta, fisica e simbolica, per la persuasione: l’orecchio. Una persuasione seduttiva, che penetra sfuggendo a un controllo lucido e razionale, capace di penetrare come un veleno fino al centro delle fibre.
La Vista viene intesa non solo come atto fisico, ma come capacità di visione, di comprensione del Reale anche nei suoi aspetti più profondi.
(«[…] e questa siepe che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude […]»)
In greco antico addirittura usando un tempo passato del verbo vedere, si deriva un modo assai diffuso nei testi antichi per dire, al tempo presente, di sapere. Oida: Ho visto quindi – mi sono potuto rappresentare in mente un concetto preciso, quindi ho capito, quindi – so. 
D’ altronde anche idea deriva da videre.
Nei processi per mafia, come documentano A. Camilleri ed altri autori esperti dell’argomento, una delle questioni da considerare è che fra un interrogatorio e l’altro, gli imputati non possano venire a contatto nemmeno con lo sguardo, pena la vanificazione dei controlli incrociati – si taliaru: si sono guardati e in uno sguardo si sono intesi. 

La Vista tuttavia diventa a sua volta la porta del sentimento. Nella sua immediatezza, che trafigge con l’evidenza o crucialità di qualche sentimento cui non si può fare barriera…
«Voi che per li occhi mi passaste ‘l core…»

Occhio non vede cuore non duole… Amore a prima vista…

Lo sguardo sulle cose le trafigge e le svela, attraverso lo sguardo le cose ci colpiscono nella loro prima evidenza e tuttavia la vista può essere sviata e confusa da segni esteriori rispetto ai suoi significati più profondi e veri.
L’Amore dopotutto è cieco. 
Psiche viene indotta a guardare il suo amante segreto, ma accendendo di notte la lampada per assicurarsi con la vista che ciò che solo sente non sia mostruoso, lo ferisce e lo perde. Eppure il suo amante segreto era Amore stesso. Che dunque non è cieco di per sé, ma richiede un affidamento cieco.
La Vista dunque può rappresentare un gesto di grande impudicizia, quando non di sfida, e le donne di molti paesi sono tuttora tenute a tenere rigorosamente abbassati gli occhi. Quando ciò non accade, per la potenza di affatamento di uno sguardo, possono essere accusate addirittura di stregoneria, inclusa Carmen la celebre zingara nell’opera di G. Bizet:

«[…] Perché ti è bastato apparire,
il tempo di gettare uno sguardo su di me,
per impossessarti di tutto il mio essere
o mia Carmen!»

Il malocchio non a caso si chiama così. 

Non guardare può significare “avere un occhio di riguardo”, cautelare l’altra persona con il pudore, la prudenza dello sguardo. Così parrebbe per Orfeo, cui viene chiesto di non voltarsi a guardare la sposa fino all’ avvenuta uscita dagli Inferi… Ma ella trova questa assenza di sguardo una mancanza di riguardo… fatto sta che Orfeo non resiste, si volta a guardarla e con questo gesto della vista la perde per sempre.
Tiresia, l’indovino, in quanto capace di vaticini e rivelazioni lancinanti – interpellato in momenti e per questioni cruciali in varie tragedie – è cieco. 
Edipo, d’altronde, il Re di Tebe, quando capisce di non avere capito la verità che aveva davanti agli occhi e che ha indotto una terribile pestilenza nella città che governa, si acceca. 
Cieco è per tradizione Omero, cantore dei cantori, capace di sintetizzare in una forma ancora insuperata il racconto dei racconti della grande epica prestorica. A orecchio, evidentemente, seguendo un suono e un ritmo conferiti da una riorganizzazione dei materiali variamente coniati nel tempo da aedi sulle celebri vicende legate alla guerra di Troia – adeguatamente al suo respiro interiore di cantore cieco. 

«Cieca e figliastra, che farò nel mondo/dei figli e dei vedenti?» principia una delle poesie di una potente sequenza dedicata alla figura del poeta da parte di M. Cvetaeva.

Anche P. Neruda ribadisce lo scambio di valori tra capacità di visione e vista, nei versi in cui confida come la Poesia lo sia venuto  a cercare, con il suo dono lancinante, che fa vedere della Realtà aspetti che ai più sfuggono completamente e che non necessariamente si colgono con gli occhi:
«[…] e vidi all’ improvviso […]».
J. L. Borges, il poeta argentino del XX secolo, effettivamente divenne cieco. E per molti questo è il segno dell’acuirsi profondo della sua capacità di lettura di quanto vi è di sotteso all’evidenza (apparente, e quindi potenzialmente sviante) del reale. 
«Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio» dice E. Montale in una delle sue più celebri poesie
«perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue».

Lo scrittore portoghese J. Saramago, per evidenziare il nesso tra ottusità del guardare senza vedere e comprensione profonda, elabora una narrazione paradossale intitolata Cecità, nella quale una intera città, senza una spiegazione evidente, diventa di colpo cieca come in un contagio, mettendo in evidenza innumerevoli paradossi del nostro vivere ottuso e cieco, intendendolo privo di senso, assurdo, smodato, seppure apparentemente integro nella vista… 

Il mio maestro Andrea Camilleri divenne cieco nell’ultima parte della sua vita. Non si perse d’animo e inizio’ a dettare i suoi libri. La questione della cecità gli fece addirittura produrre un vero e proprio testamento concettuale, incentrato proprio sul personaggio di Tiresia, con cui in scena arrivava persino a identificarsi nella funzione di visione delle cose a dispetto (o proprio in virtù) della sua cecità fisica. Non ho mai ascoltato e sentito un simile silenzio in teatro, come a Siracusa, quella sera, cinquemila persone in attesa delle sue parole, lucide e capaci di una visione sintetica e lancinante da far accapponare la pelle. Così doveva essere quando Eschilo interpretando le sue stesse tragedie parlava profondamente, radicalmente alla sua Città rinnovandone il pensiero. 

Tuttavia, parlando in confidenza come ancora mi era dato col mio maestro, una volta alla domanda su cosa gli pesasse maggiormente della sua cecità rispose senza indugio: «Aver perso il rapporto diretto con i libri, capisci, con gli autori. La voce che mi arriva non è più quella dell’autore con il quale potevo entrare a colloquio direttamente dalla pagina, la voce che mi arriva alle orecchie è quella di chi mi legge la pagina, col suo ritmo, il suo respiro, il suo modo di interpretare. Capisco il testo, sì, ma non è più la stessa cosa. E il rapporto non mediato da altri con gli autori è, credo, quello che veramente mi manca di più con questa cecità».

Citazioni da:
Giacomo Leopardi, Infinito
Guido Cavalcanti, Voi che per li occhi mi passaste ‘l core
Ovidio, Metamorfosi
H. Meilhac, L. Halévy/ G. Bizet, Carmen
R. Calzabigi/ C. W. Gluck, Orfeo
Sofocle, Edipo Re
Marina Cvetaeva, Dopo la Russia, ed. A. Mondadori
Pablo Neruda, La Poesia venne a cercarmi
Eugenio Montale, Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale
José Saramago, Cecità 
Andrea Camilleri, Conversazione su Tiresia, ed Sellerio

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