Gioca, Compra, Compra. Il (finto?) trionfo contemporaneo del gioco da tavolo

Autore

Emanuele Pulvirenti
Emanuele Pulvirenti (Catania, 1988), dopo gli studi classici tra Catania e Strasburgo, ha conseguito un dottorato in Studi umanistici presso l’Università di Trento, con una tesi sui contatti culturali in guerra tra Greci e Persiani. È stato docente a contratto di storia greca presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia di Trento, dove attualmente è cultore della materia, collabora con il LabSA e ha in pubblicazione diversi contributi scientifici. Insegna italiano e latino presso il Liceo Classico Andrea Maffei di Riva del Garda. Nel tempo libero si dedica al gioco da tavolo, come membro dell’associazione Ludimus; è inoltre co-fondatore e editor del blog Dudexpress.

Il gioco, nelle sue plurime manifestazioni – ma qui inteso essenzialmente come fatto ludico, ovvero come forma di svago – è un’attività umana estremamente risalente nel tempo e coinvolgente la vita stessa dell’uomo in molte delle sue fasi, a partire dall’infanzia.

La pedagogia occidentale, da Piaget, Vygotskij e Bruner, ne ha da tempo riconosciuto la funzione orientativa e definitoria durante l’età dell’infanzia, quando, attraverso il gioco libero, il bambino è in grado di sviluppare forme di autocontrollo delle proprie funzioni psicologiche, cognitive, senso-motorie e percettive. Il gioco simbolico, in particolare, riveste una funzione centrale nell’attivazione dei meccanismi fondamentali della creatività e dell’immaginazione, destinati a condizionare sul lungo termine la visione del mondo e del sé.

Il gioco è dunque innanzitutto un fatto biologico, un bisogno innato, un’attitudine spontanea che certamente non è stata sviluppata solo dalla specie umana. È però altrettanto vero che, se osservata in una dimensione etologico-antropologica, la specie umana è senz’altro quella per la quale il gioco riveste una funzione anche sociale e culturale, come già evidenziato da Huizinga1 e Caillois.2

Si prenda, ad esempio, una delle manifestazioni culturali per eccellenza del gioco, peraltro una delle più ancestrali e geograficamente diffusa in tutti i continenti, anche se alle origini associata a stili di vita prevalentemente aristocratici e praticata principalmente, ma non esclusivamente, dagli adulti: quella dei cosiddetti giochi da tavolo. Antichissime civiltà ci hanno lasciato, non di rado in forma di corredo funebre di loro membri illustri, oggetti inequivocabilmente ludici, come testimoniato da giochi quali il senet, il cosiddetto “cani e sciacalli”, il mancala, il gioco a spirale (forse un antenato egizio del gioco dell’oca), il gioco reale di Ur, il go, il patolli, il tabula/alea, gli scacchi, gli astragali (o, nella loro versione medievale, il gioco della zara, termine arabo da cui oggi in italiano azzardo).

Sulla base di queste poche, generiche, osservazioni, si può affermare, con un certo margine di sicurezza, che le caratteristiche del gioco all’origine della storia (ma anche all’origine della vita di un essere umano) si connotassero già per la loro vocazione all’intrattenimento e all’inutilità produttiva, per la loro dimensione prevalentemente sociale e, in un senso più pedagogico, per la loro capacità di favorire lo sviluppo e la stimolazione della cognizione dell’individuo a vari livelli: tutte caratteristiche che possiamo ritrovare anche nel gioco da tavolo moderno.

Per gioco da tavolo moderno intendiamo qui l’insieme di giochi in scatola pubblicati tra la prima metà del Novecento e oggi, la maggior parte dei quali è inclusa nella classifica del sito specializzato Board Game Geek.3 L’evento principe di questo percorso è stato di certo la pubblicazione negli USA del Monopoly (1935, giunto in Italia nel 1936): un’innovazione, quella di pubblicare con scopi commerciali un gioco in scatola, destinata nell’arco di appena un secolo a cambiare il volto dell’intrattenimento in questo settore. Questa forma di divertimento ha, infatti, continuato a diffondersi con i giochi di simulazione investigativa (Cluedo, 1949), di quiz culturali (Trivial pursuit, 1979), di competenza linguistica (Scarabeo, 1955) e di simulazione strategica (i cosiddetti war games), questi ultimi sviluppatisi in ambito anglo-americano tra gli anni Cinquanta e Sessanta – con un preciso antecedente nella pratica di studiare strategie belliche con i soldatini, in voga nelle scuole di guerra prussiane – e, anche se inizialmente abbastanza di nicchia, molto presto divenuti ben noti al grande pubblico con titoli come La conquête du monde (noto in Italia dal 1977 con il noto titolo di Risiko!).

È stato però negli ultimi cinquant’anni, in particolare, che si è assistito a un vero exploit nel settore del gioco da tavolo. A partire dalla cosiddetta “rivoluzione german”, avvenuta a cavallo tra gli anni ‘90 del secolo scorso e i primi anni 2000 (partita in Germania con i Coloni di Catan e proseguita con titoli quali Carcassonne, Puerto Rico e Caylus), i giochi da tavolo hanno attraversato una stagione straordinaria, al punto che oggi si contano quasi 150.000 titoli registrati nella famigerata classifica di Board Game Geek, con circa un migliaio di nuove pubblicazioni ogni anno (molte delle quali già divenute classici intramontabili: si pensi ad Azul, Agricola, Arkham Horror LCG, Dominion, Corsari dei Caraibi, Rising Sun, Root, T.I.M.E. Stories). Tra i generi, alcune nuove categorie si sono rapidamente imposte su altre e la continua espansione del mercato ne promette ulteriori ramificazioni: a dominare, attualmente, sono gli astratti, gli american, i german, i giochi storici, i party games, i filler e i giochi di carte collezionabili, solo per citarne alcuni.

Negli ultimi tempi, la passione per il gioco da tavolo è aumentata a tal punto che ne è stato significativamente rilevato un massiccio incremento di acquisti durante la recente pandemia del Covid-19, con un tasso di crescita composto annuo pari al +13% da qui al 2026 rispetto al +11% rispetto ai videogiochi.4

E non serve padroneggiare la Ludografia contemporanea o aver sentito nominare titoli come Tanares o Brass Birmingham – stiamo parlando, rispettivamente, del gioco con le miniature più spettacolari e interfacciabili con giochi di ruolo in circolazione e del titolo in cima alla classifica di Board Game Geek – per capire che il successo del gioco da tavolo è ormai planetario: “basta” passeggiare per le strade di Ho Chi Minh per imbattersi in un’attrezzatissima Board Game Station.5

Di fronte a un fenomeno culturale di fortuna e portata globale come questo è legittimo chiedersi quali siano le ragioni del suo grande fascino e successo. Le motivazioni sono certamente molte e diverse.

In primo luogo, c’è un aspetto sociale e comunitario: il gioco da tavolo ha un notevole potere aggregativo, anche quando si tratti di un competitivo o semi-cooperativo, piuttosto che di un cooperativo. Tale potere sfrutta il bisogno fondamentale dell’essere umano di stare insieme agli altri; fa leva sull’animale sociale che è in ciascuno di noi; alimenta il benessere comune attraverso il soddisfacimento di un piacere individuale.

C’è poi un persistente elemento pedagogico: giocando si continua a imparare, come la pedagogia e la didattica hanno ribadito in più occasioni.6 È un potenziale ritorno alla libertà e a quella dimensione di spensieratezza in cui versavamo durante l’infanzia. E la presenza di regole non è limitante, poiché lo stimolo cognitivo si attiva ugualmente in una dimensione circoscritta e normata, per quanto fittizia.

Inoltre, il gioco da tavolo ha la capacità di stimolare ancora una volta al gioco simbolico, attirando un pubblico disposto a solleticare la propria fantasia e le proprie capacità immaginifiche. Per questo pubblico sarà indispensabile l’ambientazione: gli amanti del fantasy o della fantascienza troveranno in titoli come Viaggi nella Terra di Mezzo, Assalto Imperiale o Arkham Horror Lcg tutte le emozioni di classici della letteratura e del cinema quali Il signore degli anelli, Guerre Stellari o i lavori di Lovecraft; gli appassionati di storia gongoleranno con qualsiasi titolo della casa editrice GMT, da Twilight Struggle a Time of Crisis a Here I Stand; e chi fantastica guardando le stelle potrà giubilare con Galaxy Trucker o con mostruosità interminabili quali Twilight Imperium. Ce n’è davvero per tutti i gusti.

Da un punto di vista sociologico, poi, il gioco da tavolo, nell’epoca in cui la società consumistico-capitalistica favorisce l’Idealtypus umano dell’homo currens,7 a cui non è chiesto di fermarsi per riflettere e ragionare, ma solo di lavorare a ritmi sempre più frenetici e convulsi (poiché “il tempo è denaro”, sottomettendosi alle pressioni del potere dominante), sedersi intorno a un tavolo in compagnia, in un middle ground nel quale pensare insieme non è considerato una perdita di tempo né di soldi, diventa un momento in qualche modo democratico, in cui è possibile esprimersi liberamente, pur seguendo delle regole comuni. Nella “società dominata dal fondamentalismo della velocità”, l’homo currens, sedendosi intorno a un tavolo a giocare in compagnia, si ferma e ragiona: niente di strano, perciò, che per molti quel momento costituisca una dimensione libertaria e di autonomia, nel quale si sospendono per ore gli obblighi e le responsabilità di un lavoro (percepito come?) schiavizzante.

Infine, il superamento simbolico del tasso di rendimento degli investimenti rispetto al settore dei videogiochi ci suggerisce una forte capacità di rinnovamento del gioco da tavolo, capace di competere audacemente con la concorrenza dei videogame nel campo dell’intrattenimento domestico, anche attraverso l’introduzione di applicativi digitali.8

Ma non tutte le motivazioni di questo successo sono necessariamente da considerare in un’ottica positiva. Vi è senz’altro un motivo ulteriore, ma più sottile, anche se altrettanto cogente, e aggiungerei allarmante per la natura stessa del gioco da tavolo, che sta progressivamente diventando uno dei tanti settori del mercato capitalistico, per cui i consumatori sono indotti a visualizzare continuamente nuovi bisogni ludici. Non è un caso, forse, che le piattaforme di crowdfunding attualmente più in voga (vale a dire Gamefound e Kickstarter) siano in grado di fatturare centinaia di milioni di dollari annui nel corso del finanziamento di nuovi giochi da tavolo.

In questo modo è come se, per la prima volta, il gioco, per ricorrere a una nozione cara a Serge Latouche, si stesse “deculturando”: in altre parole, è come se si stesse prestando a una dimensione economicista e prettamente capitalistica, che inizialmente non gli apparteneva e che ne sta progressivamente conformando le caratteristiche e le funzioni di “inutilità creativa” alle logiche di possesso, mercato e consumo, che finiscono per svuotarne il senso. È molto significativo della logica dell’acquisto compulsivo l’hashtag #shelfie che spesso si trova su canali social, e che consiste in un autoscatto della ludoteca personale da parte degli utenti, con immagini che la maggior parte delle volte immortalano una Kallax Ikea strabordante di scatole da gioco di varie dimensioni, destinate evidentemente a rimanere per la maggior parte a lungo inutilizzate.

Che questa logica sia prevalentemente una logica di mercato è evidente non solo dalla quantità di titoli che l’industria ludica sforna annualmente (si parla anche di un migliaio di giochi annui), ma anche dalla quantità di gadget riservati a coloro che possono permetterseli: monete in metallo, accessori esteticamente più gradevoli, stretch goals, espansioni, versioni deluxe e così via. Un gioco da tavolo finanziato al massimo del suo valore di mercato sulle piattaforme di crowdfunding garantisce agli acquirenti caratteristiche uniche e non più reperibili sul mercato, una volta avvenuta la pubblicazione, che può far arrivare il costo di un singolo titolo, completo di tutte le sue preziose chincaglierie, finanche al migliaio di euro.

Se il gioco da tavolo sta divenendo schiavo di logiche di mercato e, dopo una fase di espansione e divulgazione democratica, sta tornando ad essere uno strumento di svago per aristocrazie, viene da chiedersi se il suo successo, per quanto tangibile, non sia in fondo fittizio, apparente, frutto di una manipolazione. E forse, per tornare a quella dimensione di inutilità produttiva che aveva nell’antichità, non occorrerebbe proprio che anch’esso si rendesse protagonista di quella “sacra decrescita” invocata da Latouche come potenziale panacea per la demoniaca società dei consumi?9

NOTE BIBLIOGRAFICHE

1 J. Huizinga, Homo ludens, Gallimard 1938
2 R. Caillois, Les jeux et les hommes (le masque et le vertige), Gallimard 1958
3 https://boardgamegeek.com/browse/boardgame/page/1
4 https://www.euromonitor.com/article/strong-demand-for-toys-and-games-to-continue-in-the-new-normal
5 https://goo.gl/maps/tHr3F7RWgwUPz7Q59
6 Propongo qui una minima e minimalista, certamente non esaustiva, bibliografia: L. S. Vygotskij, Il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino, in J.S. Bruner, A. Jolly e K. Sylva, Il gioco, vol. 4 (Il gioco in un mondo di simboli), Roma 1981, pp. 657-678. R. Cera, Pedagogia del gioco e dell’apprendimento. Riflessioni teoriche sulla dimensione educativa del gioco, Franco-Angeli 2009. A. Ligabue, Didattica ludica. Competenze in gioco, Erickson 2020
7 Cfr. F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza 1996
8 Cfr. https://www.wired.it/article/evoluzione-giochi-da-tavolo/
9 S. Latouche, Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita, Bollati Boringhieri 2011

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