Riprendere a giocare

Autore

Erika Golin
Erika Golin, maestra di scuola dell’infanzia, lavora oggi come designer educativa presso la Direzione provinciale delle Scuole dell’Infanzia a Bolzano. Esperta in letteratura per l’infanzia, nel corso degli anni ha condotto numerosi laboratori legati al libro nelle sue varie forme e nel 2021 ha partecipato all’ideazione e alla conduzione della serie televisiva bilingue “GUGGUG!”. Di recente ha collaborato alla stesura del volume Apprendere ad apprendere, apprendere ad educare. Glossario per l’innovazione educativa scritto da Ugo Morelli, di cui ha curato la ricca bibliografia di opere di letteratura per l’infanzia che vede inclusi albi illustrati, racconti, libri di divulgazione, opere di narrativa, abbecedari, libri pop-up e silent book. Oggi si occupa di studio, ricerca e sperimentazione di pratiche innovative per la scuola in diversi ambiti di esperienza. Progetta e conduce laboratori per lo sviluppo della creatività, unendo la competenza artistica a quella pedagogica.

Passività, indifferenza e rassegnazione sono ormai parte integrante del nostro modo di vivere. Non è possibile, perciò, cambiare il nostro modo di giocare semplicemente dicendocelo. La fissità che caratterizza noi adulti ci obbliga a fare i conti con i nostri limiti, le nostre contraddizioni, la nostra ingombrante presenza nel mondo, una presenza spesso vuota di significato tanto da trasformarsi in una inaccettabile assenza.

La grandezza fisica e le nostre certezze ci fanno sentire forti e sicuri di noi, depositari di verità assolute e capaci di controllare il nostro muoverci nel mondo, con passo sicuro, svelto e prevaricante. Tuttavia, per arrivare a questa adultità, abbiamo perso di vista qualcosa di molto prezioso. Quel qualcosa che ci permette di meravigliarci per le piccole cose che ogni giorno accadono, di avere cura dei gesti con cui ci relazioniamo con gli altri viventi, di perdere tempo in pensieri e azioni apparentemente inutili, di ridere di fronte alle cose buffe e di gridare quando si arriva in cima ad una montagna stanchi, sfiniti, ma vivi.

Per cambiare le regole del gioco abbiamo bisogno di sentire ancora dentro di noi quell’energia e quella vitalità che ci spingono a fare cose insolite, fuori dall’ordinario, inaspettate e, perché no, irriverenti. Credo ci sia un’unica strada per riuscire in questa impresa, accettare l’alterità dell’infanzia e riconoscere che i bambini e le bambine custodiscono in loro un tesoro prezioso. Solo queste persone, ancora così piccole di statura e per questo così vicine alla terra, possono insegnarci la via per ritornare a quella condizione originaria. Con le loro parole, le voci, le grida, le risate possono risvegliare quel desiderio assopito dentro di noi che ormai non avvertiamo più.

Se guardiamo nelle loro tasche con occhi curiosi scopriamo che sono piene di oggetti apparentemente inutili, ma che possono diventare l’occasione per un gioco di ricerca, scoperta e indagine senza fine. Se ascoltiamo le loro parole e le accogliamo con gentilezza, scopriamo che anche da un semplice suono, buffo e inventato, si può costruire un dialogo.

I bambini sono così, incredibilmente semplici e genuinamente sofisticati, sono in connessione con la natura, sono parte del tutto e con la loro forza sono capaci di riparare noi adulti. Il dolore, la perdita, la morte sono parti inevitabili della vita che, nelle mani dei bambini, si trasformano in un’altra possibilità, si colorano di speranza e concedono altre opportunità per evolvere e trasformarsi.

Giocare con loro è un privilegio. Giocare con loro è una dimensione che va necessariamente cercata, perché, se un tempo i bambini avevano modo di giocare tra loro in libertà e in gruppi disordinati senza la costante presenza dei genitori, oggi i bambini sono soli. Una solitudine assordante.

I bambini hanno bisogno di relazionarsi con gli altri così come hanno bisogno di un dialogo continuo. Devono poter sapere che giocare è una cosa seria, che in quel “facciamo che io ero” si può osare tutto ed essere qualunque cosa con l’immaginazione e la fantasia, che più un gioco è noioso più sa essere divertente, che non c’è gioco più spassoso di un bambino adulto.

Per fare questo dobbiamo immedesimarci totalmente nella finzione, senza pudore, vergogna o paura di sbagliare e di essere giudicati. Riuscirci significa per noi adulti poter tornare alle nostre attività scoprendo che tutto ha un colore diverso, le ansie sono ridimensionate, l’incertezza e il dubbio sono parte integrante della vita.

Per cominciare, non resta che uscire e andare a cercare un bambino per giocare con lui.

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