Festa sola

Autore

Aurora Martinelli
Aurora Martinelli, nata nel 1998, dopo gli studi classici ha conseguito una Laurea Triennale in Storia presso l’Università degli Studi di Padova con una tesi dal titolo “La lunga liberazione. La questione della specificità femminile nelle esperienze post Olocausto” con la professoressa Enrica Asquer. Contenta, ma non abbastanza, ha conseguito un'altra laurea in Graphic Design presso la LABA di Rovereto con una tesi di progetto dal titolo "Sfumature. Interazione tra podcast e comunicazione visiva in un progetto di divulgazione storica" col prof. Matteo Carboni. Mossa dal desiderio di unire l'anima storica e quella grafica e lavorare nel campo della comunicazione culturale, attualmente si muove tra Trento, dove collabora con la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e con lo Studio di Davide Dorigatti, e Bologna, dove lavora per Un Altro Studio.

Non è tanto l’affollamento davanti alla porta del treno prima di scendere. Quello ha un che di rassicurante. Si sta lì, tutti insieme, ad aspettare la stessa fermata, ognuno col proprio bagaglio (fisico e metaforico), con le proprie sensazioni, motivazioni e aspettative diverse, ma rivolte verso la stessa città. C’è una timida condivisione in quel momento, che corre sottotraccia ma si può cogliere. È facile scambiarsi qualche sorriso, qualche battuta, aiutare qualcuno passandogli la valigia tra i due scalini che separano il pavimento del treno dal binario. 

Non è neanche tanto il momento in cui effettivamente si mette piede fuori dal treno, sulle piastrelle ruvide della piattaforma oltre la tanto nominata riga gialla. Il vagare delle persone in quel non-luogo per capire quale sia il numero del binario a cui il treno si è fermato, il ticchettio delle maniglie che vengono estratte dai bordi delle valigie, le braccia che si agitano per farsi riconoscere tra la folla dopo l’attesa di un arrivo. Anche tutto questo ha qualcosa di caldo, in sé. 

Il vero momento critico è la discesa delle scale, delirio rimbombante di gente che corre perché ha mezzo minuto per raggiungere l’altro binario, il zig-zag silenzioso ma isterico di chi per la fretta sfiora al millimetro corpi, piedi, zaini e biciclette altrui senza che suddetti corpi, piedi, zaini e biciclette abbiano il tempo di rendersene conto, o peggio ancora: le imprecazioni maleducate, pur talvolta giustificate, di chi si trova di fronte qualcuno che sale nella direzione opposta e deve affrontare quel momento di impasse in cui nessuno dei due decide se passare da destra o da sinistra, generando un imbarazzante balletto di busti che cercano di muoversi senza scontrarsi. 

Ed è proprio in mezzo a questo delirio che Alba, che di minuti per prendere il suo prossimo treno ne ha 34, decide di celebrare la sua festa solitaria.

È da più di un anno che non mangia una pizza. Per la verità, è da più di un anno che non mangia qualcosa che non sia riso in bianco, verdura scondita, crackers, gallette di riso. Ma la pizza, in particolare, le fa paura, e infatti la sua nutrizionista l’ha etichettata come “cibo fobico”. Alba, che ha studiato greco al liceo e sa benissimo che cosa voglia dire fobico, non può che essere d’accordo. È anche da più di un anno che di fobico, nella vita di Alba, c’è molto di più della pizza. Anche le feste, ad esempio, sono situazioni fobiche. Davanti a un buffet gli invitati mangiano in maniera incontrollata, provando e apprezzando tutto ad alta voce senza domandare prima che cosa ci sia dentro quella tartina. Semmai, lo fanno dopo, per curiosità o per cortesia nei confronti di chi ha cucinato. Ma prima buttano giù, senza indugi. Anche lei vorrebbe essere così spensierata, ma non ce la fa. Una piccola parte di lei si è abituata, ma per il resto si sente sempre e comunque a disagio quando qualcuno nota, e le fa notare, che non ha toccato cibo. 

Guarda qui, Alba, non ti va di assaggiare queste olive all’ascolana? 

È una domanda che palesemente ne nasconde un’altra:

Come sei dimagrita, Alba, perché non mangi? 

Grazie al cielo, nessuno ha il coraggio di metterla giù in questi termini, e così Alba trova una scusa per cui no, grazie, le olive non mi piacciono proprio, e continua a tergiversare tra un drink e l’altro. 

Però ci sta lavorando, eccome se ci sta lavorando. La sua nutrizionista è molto orgogliosa di quanto Alba sia collaborativa, e per questo le ha dato il compito, questa settimana, di provare il suo cibo fobico: la pizza. 

Quando la dottoressa gliel’ha detto, in Alba si è avviato un inesorabile domino di pensieri negativi che l’hanno portata a procrastinare sulla base di motivazioni più o meno fantasiose, finché non s’è fatto venerdì sera. L’orario della cena coincide con quello del cambio del treno, ed ecco spiegato perché, tra tutti i momenti e tra tutti i luoghi, Alba sceglie le scale della stazione di Verona Porta Nuova alle 19.27 per provare a riappacificarsi col proprio cibo fobico. Prende un trancio di margherita, si siede su uno scalino e si apparecchia le ginocchia con tovagliolo, forchetta e coltello di legno. La cura del momento del pasto è qualcosa su cui la nutrizionista proprio non transige. Un bel respiro e via, mentre accanto alle sue cosce scorrono le suole e le ruote delle valigie di decine e decine di persone ignare di quel momento extra-ordinario, di quella che per Alba assomiglia a una festa, sì, ma in cui a guardarla mangiare o non mangiare non c’è nessuno. In stazione, a nessuno importa davvero se Alba riuscirà a mangiarsi quella pizza. A nessuno importa come si stia sentendo nel farlo o se si sentirà male dopo. Nessuno poserà su di lei uno sguardo compassionevole, apprensivo o giudicante. In poche parole, è libera. Libera di festeggiare la propria festa e, per una volta, di non condividere i propri sentimenti con nessuno. Però non sa se funzionerà. Non sa se una festa può funzionare anche in solitaria. 

Venerdì 18 gennaio 

Ero in stazione ad aspettare la coincidenza del treno a Verona. Avevo mezz’ora, nella quale avrei cenato e ne avrei approfittato per provare l’alimento fobico: la pizza.
Ho preso 1 trancio di margherita, mi sono seduta col proposito di mangiarla con calma, con forchetta e coltello anziché con le mani e di fare attenzione ad ogni boccone. E così ho fatto. 

Tuttavia, non sono riuscita a finirla. Anche se avevo fame, l’impasto mi pareva poco cotto e sì, avevo paura che mi avrebbe fatto star male. Dopo aver mangiato 2 fettine, l’ho “spezzata”: ho mangiato la mozzarella della copertura e la crosta, che era bella croccante, e ho lasciato lì il resto. Ho rimediato mangiando un pacchetto di crackers, come una sorta di “rifugio”. 

Domenica 20 gennaio

Ero al ristorante per il compleanno di un’amica. Ero indecisa e titubante, ma alla fine ho preso la pizza. All’inizio pensavo di prenderla piccola e senza mozzarella, pensando che fosse più leggera, ma poi ho pensato che se avessi voluto sperimentare davvero la pizza sarebbe stato meglio non pormi troppi blocchi. Così l’ho presa, ed è stato un vero successo. L’ho mangiata più che volentieri, gustandola ed è andata giù liscia. Ora, a distanza di ore, non ho mal di pancia né malessere di alcun tipo. Ho avanzato solo 1 quarto e qualche crosta, ma lo considero un ottimo risultato.

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